giovedì 2 giugno 2011

Referendum del 12-13 giugno 2011. Nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento “for dummies''

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Non ci sono scuse. Nonostante la confusione delle ultime settimane, i quesiti referendari sono TUTTI validi, e i prossimi 12 e 13 giugno siamo TUTTI chiamati alle urne. In quei giorni siete in vacanza? Non me ne frega niente, non solo perché io nel frattempo sarò presa con le bombe a scrivere la tesi e quindi vi odio, ma anche perché – e questo non tutti lo sanno – si può votare fuori sede!
Per farlo bisogna però fare richiesta on-line entro il 5 giugno, fingendosi “rappresentante dei promotori” (ecco qui il modulo). Non so che diavolo sia un rappresentante dei promotori e ho il sospetto che non lo sappia nemmeno chi ha inventato questo termine, ma non ha molta importanza dato che non comporta doveri aggiuntivi per chi lo fa. Purtroppo non è sicuro che riusciate effettivamente a votare fuori sede: ecco qui spiegato il perché, seguito da altri modi di fare richiesta.
La questione “nucleare” è la più incasinata, tra quelle cui siamo chiamate a votare. Cerchiamo di capire cos’è successo negli ultimi tempi e perché si è parlato dell’eliminazione del quesito referendario relativo a questo tema.
In parole povere (poverissime!) per chi si è perso qualche puntata: il governo aveva annunciato una moratoria che avrebbe sospeso per un anno l’individuazione dei siti per costruire le centrali atomiche. Il che sembrava solo un escamotage per non perdere (altri) voti alle amministrative. Poi, però, è arrivato un (apparente) contrordine sul progetto nucleare in toto.
Il testo effettivo poi inserito nel decreto legge omnibus recita infatti così:

"Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare."

Ma anche così:

“Entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Consiglio dei ministri adotta la strategia energetica nazionale nella definizione della quale il Consiglio dei ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione Europea e a livello internazionale in materia di scenari energetici e ambientali.”

Queste parole, che sembrano alquanto ambigue, avevano scatenato i dubbi sul referendum, anche se in realtà tanto ambigue non sono: lo stop è solo provvisorio. Tanto per sapere, i famosi “stress test” chiesti dall’UE per misurare la “sicurezza nucleare” stanno iniziando ora, in giugno. E questi rappresenterebbero le “evidenze scientifiche”, le “valutazioni in materia di scenari energetici e ambientali” su cui si baserà la nostra “strategia energetica nazionale”…che non esclude esplicitamente il ricorso all’energia nucleare!
Per fortuna, comunque, lo stesso Presidente del Consiglio ci chiarisce definitivamente le idee (video). Sì, insomma, era solo un trucco per far sì che la gente non vada a votare. Perché il nucleare ora come ora “tira” e il quorum verrebbe raggiunto; perché un secco rifiuto* al nucleare sarebbe un altro colpo all’operato del governo; perché alle urne non si decide solo di nucleare, ma anche di acqua e di legittimo impedimento.

Il decreto legge omnibus è stato fatto poi passare nei giorni scorsi, ricorrendo alla fiducia. MA LA CORTE DI CASSAZIONE HA APPENA DECISO CHE IL QUESITO RIMANE DEFINITIVAMENTE VALIDO. Andrà riformulato, dato che le norme cui si riferisce sono cambiate, ma nell’essenza rimane così com’è.
(Mentre noi sguazziamo in questo pantano di interessi politici e confusione, c’è chi ha le idee più chiare: Germania e Svizzera abbandoneranno definitivamente le centrali, spegnendo quelle che si possono già spegnere e aspettando la fine del ciclo di vita delle altre, per poi smantellarle.)

Oltre al quesito sul nucleare, però, ci si dimentica che ce ne sono altri tre: a parte quello per abrogare la norma del cosiddetto “legittimo impedimento”, che risulta comprensibile più o meno a tutti (e riassumibile in: siete d’accordo con il cancellare la norma che dà al presidente del consiglio e agli altri ministri la possibilità di non presentarsi in aula quando imputati in processi penali?), ebbene, pochi sanno cosa riguardano esattamente gli altri due, se non genericamente “l’acqua pubblica”.
Siccome non parlo il sumero antico (ma non si potrebbe scrivere i quesiti in Italiano?) il sito del comitato referendario per l’acqua bene comune mi ha dato una mano a capire di che si parla in pratica:
Il primo quesito sull’acqua riguarda le “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, che apre la strada alla privatizzazione dei servizi idrici, e non solo. In pratica la norma di cui si discute l’abrogazione stabilisce un piano graduale per passare dalla gestione totalmente pubblica a una gestione mista e progressivamente sbilanciata dalla parte privata, riducendo la partecipazione pubblica al 30% delle azioni nel 2015.
Il secondo quesito sull’ acqua propone invece un’abrogazione parziale della norma che determina “la tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito”, che asfalta la strada di cui prima determinando cioè che il prezzo dell’acqua non venga stabilito esclusivamente in base a considerazioni sociali e di bene comune, ma anche per “remunerare adeguatamente” il beneficiario della privatizzazione, come se fosse un investimento come gli altri. Questo vorrebbe dire aggiungere un 7% di profitti al prezzo dell’oro blu.

Fin qui ci siete? Bene. Ora, ricordatevi che CIASCUNA delle 4 domande cui sarete chiamati a rispondere per questo referendum è abrogativa. Il che significa che se scegliete di votare SI, le leggi in questione verranno abolite (ovviamente a patto che sia stato raggiunto il quorum, cioè che almeno metà di coloro che possono votare + 1, lo abbiano fatto) e si proverà a proporne di nuove. Di contro, votando NO scegliete di lasciare le cose come stanno (la legge rimane com’è e potrà produrre effetti).
Se NON volete che una cosa sia fatta, dovrete rispondere/votare SI.
Se volete che si proceda lungo una strada già intrapresa, dovrete rispondere/votare NO.
So che è scemo, ma è così. Dobbiamo ragionare all’inverso.
Quindi, messa proprio ai minimi termini:
2 SI perché l’acqua rimanga pubblica, 2 NO a favore della privatizzazione.
SI per fermare il nucleare, NO per mantenerlo.
SI per la decadenza del legittimo impedimento, NO se invece lo volete.
(Se non l’avete capito così, avete cose più importanti di cui preoccuparvi.)

I seggi saranno aperti domenica 12 giugno dalle ore 8 alle ore 22 e lunedì 13 giugno dalle ore 7 alle 15.

A me non importa che siate pro o contro l’energia nucleare, pro o contro le inefficienze (da una parte) e le considerazioni sociali (dall’altra) circa una gestione pubblica dell’acqua, pro o contro un presidente del consiglio molto… ehm… impegnato. L’importante è che non vi facciate scappare una delle poche occasioni che abbiamo per decidere direttamente di cose che ci riguardano da vicino.
Ed ancora più importante è che convinciate la gente ad andare a votare… ma non solo la gente che la pensa come voi! Anche se è per il no a tutti i quesiti, una persona in più può permettere di raggiungere il quorum.
Io e una collega di questo blog siamo addirittura andate alla Sagra della Bondola di Torrebelvicino a ricordare a tutti i paesani il referendum. Voi che avete fatto?

* In Sardegna, in concomitanza con le amministrative, è stata fatta una “prova” del quesito sull’atomo: un referendum consultivo, che ha visto il 97% della popolazione opporsi alle centrali e alle scorie. Il quorum, anche se ridotto a un terzo degli aventi diritto, è stato superato alla grande, con un’affluenza del 60% circa.

martedì 31 maggio 2011

JULIE RUIN: a genie, rather than a genius (and she wears a scrunchie)

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Julie Ruin non è altro che un progetto (inizialmente) solista di Kathleen Hanna.
Maestra di vita, figura di spicco del movimento Riot Grrrl sviluppatosi a cavallo degli anni Novanta in quella punta remota degli States che è lo stato di Washington (prego, guardare in alto a sinistra sulla cartina), Kathleen Hanna, ormai è un marchio di fabbrica: qualunque cosa tocchi, diventa oro; e non si fa per dire. Se credete sia raro di questi tempi (o di quelli del passato) trovare un’idealista credibile e ferocemente coerente con ciò che va professando, se credete che trovare un essere umano del genere sia impossibile, allora quando avrete conosciuto e ascoltato Kathleen – oltre a ricredervi – non potrete più farne a meno. Votata alla causa femminista fin da giovanissima (i suoi racconti circa la “scoperta” del femminismo a 9 anni sono leggendari), la Hanna è stata lead singer delle Bikini Kill dal 1990 al 1998 e poi fondatrice del terzetto Le Tigre, dal 1998 circa. Di mezzo a queste due esperienze, culto intoccabile per molte di noi, in mezzo dico, ci sta Julie Ruin.

lunedì 30 maggio 2011

L'amore non guasta

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Di solito prima di scrivere la recensione di un libro aspetto di far sedimentare la lettura, prendo le distanze dal sommovimento emotivo che mi ha causato, tento, per deformazione professionale, di guardarlo con occhio critico. Questa volta però faccio un'eccezione e voglio scrivere di getto, a meno di mezz'ora dalla fine dell'ultima riga, qualche parola e qualche impressione sul libro di Jonathan Coe L'amore non guasta.
Quando ho preso il volume fra le mani, pochi giorni fa in una libreria cittadina, e ho letto la quarta di copertina, ho pensato che non potevo esimermi dal comprarlo: il libro mi parlava, come se si fosse trattato di un incontro casuale fra due futuri amici.
Si direbbe che per Jonathan Coe il momento in cui si decide il destino di un individuo non sono i primi anni di vita, come suggerisce la psicoanalisi, ma quella sconfinata adolescenza e quel perpetuo fuoricorso che cominciano subito dopo aver lasciato il liceo e la famiglia e che corrispondono al vegetare dentro il calore debole ma protettivo di un'università di provincia, seguendo la trafila delle sessioni, degli esami, della laurea, di una tesi di dottorato sempre da scrivere e mai scritta.
Nel giro di pochissime pagine la prosa asciutta e ruvida di Coe mi ha conquistata. Il suo modo di puntare all'essenziale, senza fronzoli e senza digressioni- in sè molto lontano dallo stile che tendo a prediligere- mi ha tenuta incollata alla pagine in una lettura ingenua e "tutta d'un fiato" che non praticavo da diverso tempo. La storia è semplice, scarna se si vuole: un intreccio di differenti vicende biografiche che ruotano tutte attorno al personaggio principale, Robin, dottorando senza tesi, bloccato in uno stato di perpetuo blocco dello scrittore. Un inetto a vivere circondato da tanti altri inetti, alcuni dei quali palesi, come il compagno di discussioni accademiche Hugh o la studentessa indiana Aparna, altri falsamente "arrivati", trincerati nelle loro sicurezze famigliari e lavorative, incapaci di vedere oltre la loro limitante prospettiva, come Tom, ex compagno di studi del protagonista. Il romanzo si sviluppa su più piani e con un continuo scambio di narratori e punti di vista. Nel primo capitolo entriamo in punta di piedi nella vicenda attraverso gli occhi di Tom, per poi spostarci su Robin ed infine su Hugh e Aparna. Questi momenti di narrazione diretta sono intervallati da brevi racconti, scritti da Robin, che hanno con la vicenda principale un preciso e palese nesso biografico. Piccoli inserti perfettamente incastonati nel piano complessivo.
Eccezionale, per la profondità di analisi sul tema dell'amicizia, dell'amore e dei rapporti interpersonali, il racconto La lite degli innamorati, che ritengo avrebbe potuto essere uno splendido canovaccio per una narrazione autonoma.
Forse però la bellezza di questo romanzo risiede proprio nei mille spunti proposti, nel non indugiare troppo su una tematica, ma offrire piuttosto una variegata casistica grazie alla quale il lettore può farsi una sua idea sul tema chiave della vicenda che, a dispetto del titolo, non è unicamente l'amore o almeno non l'amore quale siamo soliti pensare comunemente.
Sono diverse infatti le situazioni di amore erotico, espresso o inespresso, nella storia. Tutte, inevitabilmente, tendono a finire male. Soltanto del matrimonio fra Tom e sua moglie non sappiamo nulla. Su questa donna, oggetto di tanto amore e motivo di tante riflessioni, l'autore ci dichiara di non voler spendere una sola parola. Eppure, ci stuzzica sadicamente, sarebbe stato molto interessante. Tornando all'amore, vediamo qui espresse tutte le difficoltà possibili di definizione di un rapporto: amici, innamorati, amanti, colleghi si mescolano e confondono in una reale impossibilità di definizione pregnante.
Di fondo resta un'aura cupa di solitudine e incomunicabilità che non abbandona mai il lettore. Forse l'esistenza è fatta unicamente di pensieri inespressi (come la tesi mai scritta di Robin), destinati a causare dolore e sofferenza, quando, a fronte di un dialogo onesto, potrebbero portare amore e vicinanza fra gl'individui. Le parole però non escono dalla bocca dei personaggi- per tutto il libro scivoliamo unicamente fra i loro pensieri- e quando lo fanno stridono causando incomprensioni e riaprendo ferite.
Forse per capire fino in fondo questo libro sarebbe davvero necessaria una lettura plurima, concentrata, attenta ai dettagli e magari annotata. Per ora mi limito a consigliarvelo, come un piccolo capolavoro d'introspezione collettiva delle mille sfumature legate all'umano sentire amore.

venerdì 27 maggio 2011

Avril Lavigne, una vecchia con lo sk8

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C'è una canzone dei Courteeners che dice “you're not 19 forever, pull yourself together”. Chiaramente, Avril Lavigne non ha l'ha mai sentita.

Nel suo nuovo video, “Smile”, la signora Lavigne ripropone il modello Barbie punkettina teenager, nonostante il suo ventottesimo compleanno (28 anni!) sia in arrivo, ed il periodo della ribellione adolescenziale sia passato da un bel po'.




Non che pretendessi una trasformazione tipo Madonna, o anche Britney Spears, ma Avril Lavigne è ancora identica a quando era minorenne e non aveva un divorzio alle spalle.

Calcolando che non è la prima né sarà l'ultima a non sapersi vestire in maniera age-appropriate, non dovrei trovarmi a criticare una trentenne con le bombolette spray e l'aria da bimbaminkia disperata. Saranno affari suoi, no? No.

Non sono stati i capelli verde evidenziatore, a sconvolgermi.

Ricordo benissimo quando Avril aveva l'espressione di un cucciolo di leone sperduto, la cravatta e cantava “Complicated”. Avevo dodici anni e, a posteriori, vorrei tagliarmi la lingua per averla considerata punk, ma sul momento rappresentava l'opposto di Britney Spears e mi piaceva.

I suoi testi esprimevano, in maniera stupida e semplicistica, la prospettiva di una ragazza un po' tagliata fuori dal giro cool. Non erano i Nirvana, ma per una che non aveva idea di chi fosse Kurt Cobain, Avril Lavigne bastava e avanzava.

Quando ha sfondato, la signora Lavigne aveva 17 anni. Nel 2011, ne ha 27 e dopo essere diventata una star, essersi sposata, aver mollato il marito e averne fatte di ogni, è ancora legata agli stessi temi, solo che affrontati in maniera peggiore.

2002 – Sk8r Boi: “Does your pretty face see what he's worth?”
2004 – My Happy Ending: “All this time you were pretending, so much for my happy ending”
2005 – He Wasn't: “He never made me feel like I was special, he isn't really what I'm looking for”

Fino a qui, tutto bene. Fondamentalmente si parla di ragazzi stronzi e di quanto lei si senta sola e sottovalutata, il che va anche bene.

2006 – Girlfriend:
1) “Hey! Hey! You! You! I don’t like your girlfriend! No way! No way! I think you need a new one Hey! Hey! You! You! I could be your girlfriend!”
2) “don’t pretend I think you know I’m damn precious, and hell yeah I’m the motherfucking princess”
3) “she's like so whatever, you can do so much better”

La prima volta che ho sentito “Girlfriend”, ho pensato che fosse una presa per il culo. Avril Lavigne, principessa dei giovani ribbelli, stava davvero cantando un inno al rubare il ragazzo ad un'altra?

2008 – The Best Damn Thing:
1) “Where are the hopes, where are the dreams, my Cinderella story scene?”
2) “Me, I'm a scene, I'm a drama queen I'm the best damn thing that your eyes have ever seen.”

Da “che tristezza, mi ha lasciato” a “perché cazzo non mi tratta come se fossi la regina del mondo?!”.

Nel frattempo, anche Avril è diventata grande, ma continua a cantare (beh, dai, chiamiamolo cantare) di storie da teenager.
Ma quando l'ascoltavo io e parlava di cose normali per una canzone pop, mentre ora i suoi testi sono peggio di quelli di Kesha. Solo che Kesha ha 22 anni. Non 28.

Il nuovo singolo dell'inizio, Smile, inizia con: “You know that I'm a crazy bitch, I do what I want when I feel like it. You know I wanna lose control.”
Al di là della pregevole citazione da Gossip Girl, Avril Lavigne si agita con una coroncina in testa fingendo di suonare la chitarra, “Cause you're fucking crazy rocknroll”, e dopo un po' si chiede “What did you put in my drink?”.

Il ritornello poi ci butta di nuovo nel mondo dello zucchero, ma questo non cambia la realtà delle cose: questa donna viene venduta come una ragazzina scapestrata a gente che, quando lo era davvero, portava il pannolone.

Solo che invece di dire che essere un po' sfigati va bene, consiglia di sbronzarsi fino a perdere la coscienza e poi “wake up with a new tattoo”.

Ne è passato di tempo, da quando non voleva darla al suo moroso in “Don't Tell Me”.

martedì 24 maggio 2011

How the 80s broke my heart. Cult series: Freaks and Geeks.

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Dopo avervi introdotto all’incantevole mondo di My so-called Life, questa settimana parliamo di un’altra serie cult a cui è stato riservato lo stesso tragico destino.

Scritta da Paul Feig e prodotta da Judd Apatow, Freaks and Geeks è stata trasmessa dalla Nbc tra il 1999 e il 2000. Non solo la serie si è aggiudicata un posto nei 100 migliori show televisivi di tutti i tempi del Time, ma anche l’Entertainment Weekly l’ha voluta premiare dandole il tredicesimo posto nella classifica delle migliori serie degli ultimi 25 anni.
Freaks and Geeks è ambientata negli anni ’80 e parla di due fratelli, Linsday e Sam, che frequentano la stessa scuola ma non appartenendo allo stesso gruppo sociale vivono esperienze completamente diverse.
Quello che per me distingue questa serie da My so-called life è l’attenzione data ai personaggi. Il primo telefilm è reso speciale dalle tematiche che affronta e da quell’atmosfera melanconica che accompagna Angela attraverso tutta la durata del suo viaggio. Mentre nella seconda, si valorizza il carattere di ogni singola persona e il modo di rapportarsi con quello che gli sta attorno. Il successo di questa serie è dovuto in gran parte al cast eccezionale di cui si vanta.

lunedì 23 maggio 2011

Ho fatto le elementari del libro "Cuore", VI puntata.

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Di grembiuli, d'indecenti minigonne per bambine di 8 anni e di altre amenità.


Quando mi sono iscritta in prima elementare, insieme alla cartella, al diario, ad astucci e quaderni vari, ci hanno fatto comprare anche il grembiule bianco.
Un ottimo modo per rendere i bambini tutti uguali ed impedirgli di focalizzare l'attenzione su cose vacue come la felpa firmata o i pantaloni alla moda; peccato che poi però c'erano gli zaini, le scarpe, la macchina con cui mamma e papà ti venivano a prendere, la bicicletta, il giocattolo e via discorrendo, a ricordarti la tua precisa collocazione sociale. E meno male direi, perché così ci si fa gli anticorpi per tempo, perché se poi arrivi nel crudele mondo delle medie con l'utopica convinzione che "siamo tutti uguali", finisce che ti scontri, nel modo più crudele possibile (quello delle cattiverie che solo i dodicenni-tredicenni possono dire e fare) con l'amara realtà.
Non siamo tutti uguali e dio ce ne scampi: i bambini hanno mille modi per ricordarselo continuamente l'un l'altro.
"La mia mamma mi ha comprato il camper di Barbie"
"Beh...la mia mi ha comprato la villa con piscina e stalla per il bianco destriero"
"..." silenzio e amarezza.
Insomma, il grembiule è stata una pessima idea, maturata con i migliori intenti, ma comunque pessima. Ogni mattina era uno strazio infilarselo sopra i vestiti, abbottonarlo per bene, controllare di non macchiarlo nel giro di pochi secondi (ma perché poi proprio bianco dico io?!), evitare di soffocare perché il colletto stringeva troppo. E poi anche i grembiuli erano diversi: tutti bianchi si, ma alcuni col colletto di pizzo, altri con le alette inamidate, altri con un ricamino tono su tono a motivi floreali. Altro che tutti uguali!
L'unico effetto che sortivano era quello di far imbufalire chi, come me, si sarebbe vestito volentieri da clown, abbinando in modo assurdo colori sgargianti in grado di provocare lesioni oculari ai malcapitati astanti. Desideravo ardentemente sfoggiare inguardabili felpe gialle con delfini blu sopra, magliette con il mio nome e sotto un gatto, pantaloni della tuta in acetato: il buon gusto non è mai stato il mio pezzo forte. Trovavo mortificante questa omologazione e, se non ero ancora in grado di portare avanti una critica strutturata al concetto di uniformità, provavo lo stesso una repulsione istintiva per quella divisa.
Ma con l'avvento della terza elementare ed il pensionamento dell'odiato grembiule, scoprii che non era affatto il peggiore dei mali: il vero male era la moralizzazione dell'abbigliamento fanciullesco.
Un giorno mia madre decise (che idea insana!) di mandarmi a scuola vestita con un maglioncino a righe stretto, una minigonna di tuta arancione, calze pesanti verdi. Come ormai avrete capito dai miei post precedenti, non ero la tipica bambina composta e tranquilla: arrivata in classe mi misi al posto seduta, come mio solito, un pò stravaccata, gambe rigorosamente aperte.
Il commento della maestra non si fece attendere e gridò alla scostumatezza. Come si faceva a vestire in quel modo una bambina che poi non sapeva comportarsi adeguatamente? La minigonna non era certo un capo di vestiario appropriato ad una classe scolastica! Ora, al di là di specifici casi davvero patologici, mi chiedo chi potrebbe, davanti a una bambina di otto anni in minigonna, per giunta molto "maschiaccio", provare qualcosa di diverso da un moto di divertimento. Potevo essere tenera, buffa, comica, ma di sicuro non provocante o scostumata. A ripensarci oggi mi viene da ridere, ma al tempo avevo preso la questione molto seriamente e non avevo più voluto indossare quella gonna per andare a scuola, pur di evitare un'ulteriore mortificazione.
Per non ricadere nello sconforto post traumatico, aggiungo la postilla "altre amenità" a chiusa di questa "favolosa" puntata di Ho fatto le elementari del libro "Cuore": esempi morali che traumatizzano i bambini.
Alcuni anni fa una mia compagna di scuola e cara amica mi disse che stava allestendo uno spettacolo, con i ragazzi della sua parrocchia, su una beata che aveva sacrificato la sua vita per non abortire il figlio che portava in grembo. Immediatamente mi scattò un flash in mente: quella donna la conoscevo bene e non per le lezioni di catechismo o per qualche informazione casuale pervenutami negli anni: era stata uno degli exempla di virtù presentati dalla mia maestra durante le scuole elementari. Gianna Beretta Molla, una donna non comune, pediatra, madre di tre figli, impegnata profondamente nella vita della comunità cattolica in cui viveva.

Durante la sua quarta gravidanza le riscontrano un fibroma all'utero e, pur sapendo che per evitare l'aborto avrebbe sacrificato la sua vita, decise lo stesso di portarla a termine. Morì pochi giorni dopo il parto, lasciando il marito e i quattro figli.
Ho ancora memoria del giorno in cui la sua vicenda ci venne raccontata dalla maestra e ricordo distintamente quello che, da bambina di seconda o terza elementare, pensai del fatto: era una cosa terribile. Una mamma aveva "abbandonato" deliberatamente i tre bambini che già aveva, li aveva privati della sua presenza in nome di qualcosa che, a me, al momento sfuggiva: una promessa di vita. A posteriori posso anche pensare che questa donna abbia fatto la scelta che in cuor suo riteneva più giusta, ma da qui a renderla un esempio da proporre a bambini che a malapena capiscono il senso della loro di esistenza ce ne passa. L'angoscia mi rimase addosso per giorni al pensiero di quello che potevano aver provato i figli rimasti, al pensiero del rancore che dovevano aver maturato per quella sorellina per la quale erano stati privati della madre. Queste cose mi sono servite, alla fine, per maturare una coscienza critica, per scrivere questo post, per dare il mio contributo di "flash back" alla mia amica ma, diciamocelo, si poteva tranquillamente evitare.

venerdì 20 maggio 2011

Parola di donna, un'ora al Salone del Libro.

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Il Salone internazionale del Libro di Torino non è mai stato un mio rito annuale. Certo non per la sua natura di luogo di consolidamento del potere e neanche per la noia del viaggio in tram. È proprio che il libro a casa mia non si usava. “Per i libri ci sono le biblioteche”, tuonava (ma benevolmente) mio padre, il cui unico affetto materiale si dirigeva (e si dirige tuttora) verso affarini dalle forme bizzarre, presumibilmente materiale elettrico di recupero, con cui sono sempre stata tentata di fabbricare orecchini. “E poi ti fanno anche pagare il biglietto! Per spendere altri soldi! Follia.” Certo che se vai alla fiera del libro per comprare e farti firmare l'ultimo libro di Mario Giordano (ma come fa ad avere quella pelle lì, mi chiedo, nivea) in coda allo stand Mondadori (la cui evitazione a questo punto è un atto politico e di buonsenso) sono dieci euro spesi molto, molto male. Ma poi il tempo, dico io. Il tuo preziosissimo tempo. S'intitola Sanguisughe. L'uomo di spalle si volta e dice: “Parla di giornalisti, immagino”. Il pubblico ride. La scena non si svolge in questo paese. Perché non farebbe ridere.

Uno degli incontri del Salone a cui ho assistito è pertanto di interesse in questa sede. Si tratta della presentazione del volume Parola di donna curato da Annarita Armeni, edito da Ponte Alle Grazie. Presenti la curatrice, Anna Bravo storica delle donne, Farian Sabahi giornalista e storica dell'Iran, Michela Murgia scrittrice (e, mi han detto, telefonista). Femministe, liberali o radicali che siano, di provenienza comunque istituzionale (se per istituzione intendiamo ciò che viene dall'università e dai quotidiani e dal mondo editoriale maggioritario) riunite per riparare insieme al “ratto delle parole”, definito tale da Armeni, operato ai danni dell'umanità femminile e per il quale sarebbe da pagare un riscatto, ciò che noi potremmo chiamare compromesso, così come per pagare il riscatto della bellezza si finisce sotto i ferri del chirurgo plastico. Le parole sono cambiate assecondando il cambiamento del mondo, il volume si propone dunque come vocabolario originale di cento lemmi scritti da altrettante eterogenee voci femminili, provenienti dai campi più disparati (seduta tra gli sparuti presenti c'è Susanna Camusso, autrice della voce Lavoro). Particolarmente interessante la chiave di lettura data alla voce Morte da parte di Murgia, la quale sottolinea un elemento mediatico che sarà anche sfuggito agli heavy (tv) viewers ma che a questo punto non può più sconvolgerci: è la mancanza di narratività della raffigurazione della morte della donna. La sua vita, piegata in effetti ad appendice funzionale di quella del compagno, che ne è il vero protagonista, non potrà che morire straziata dal dolore (sic), per quanto la morte possa essere dovuta a cause meramente organiche (l'esempio eclatante, come sottolineato dall'autrice stessa, è nella morte mediatica di Sandra Mondaini, di poco successiva a quella del consorte). Questa morte è, per l'autrice sarda, una rappresentazione invivibile, in effetti deprecabilmente radicata nel senso comune, una di quelle parole rapite che vanno restituite quanto prima e senza riscatto alcuno. [È in uscita il suo nuovo lavoro, Ave Mary, presentato altrove in questo enorme complesso espositivo. Quando esco dalla presentazione spero di essere in tempo per prendere una birra gratis presso uno stand di ragazzi cattivi (ometto volontariamente la casa editrice) ma il ragazzo in camicia di flanella ha finito tutto e mi consiglia qualche volume noir che mi limito a guardare sogghignando.] 
Sabahi, iraniana di seconda generazione in occidente, ci racconta che l'Islam non è un blocco monolitico e che la realtà del femminismo islamico è vitale e complessa. Mentre espone le sue disavventure yemenite (su come alle donne non sia concesso fare pressoché nulla senza la vigile presenza di un uomo) una signora seduta dietro di me prende a sbottare fastidiosamente. Mi guardo intorno e vedo solo vecchi. Non anziani. Vecchi. Incredibile come, anche in questo contesto, si sia trascinati e forzati al ragionamento sulla generazione. Le divisioni delle divisioni delle mie gerarchie mentali. Ho la sensazione di aver aggiunto comunque un tassello alla comprensione di come chi ci ha precedute – evidentemente sopravvivendo, nelle pieghe (o nelle piaghe) della società – ha interpretatogli ultimi anni e l'eventuale specificità del femminile, con le sue vecchie/nuove richieste.

P.s. Va detto che adesso faccio parte del club di coloro a cui la mensola svedese per i libri non basta più; e non solo, la mensola svedese è stata abilmente installata al di sopra del mio letto, dunque man mano che il carico culturale aumenta crescono le probabilità che io ne venga schiacciata e muoia – nel sonno o meno – sotto il suo gravoso contenuto e questo ha un potenziale metaforico che per ora si può tralasciare. In soldoni, questo è uno dei primi anni in cui io, da prodotto ottimale di una società tutto sommato scadente, ho cominciato ad interessarmi della totalità dei libri in commercio e di tutti i suoi generi.
Ok, a parte il thriller.
Ok, a parte i romanzi romanzati romantici romanzeschi. I romanzi-quelli.
Ok, a parte le 'storie rock'.
Ok, a parte i memoir delle persone pubbliche.
Ok, facciamo a parte i memoir in genere.
Insomma, tutti quei volumi con una pessima copertina.

giovedì 19 maggio 2011

Del sano Girl Power su ruote. Pollici su per il film "Whip it", diretto dalla Barrymore

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“Whip it”: non solo una canzone dei Devo datata 1980, ma anche il titolo di un film uscito nel più recente 2009, diretto da Drew Barrymore. Preciso che entrambi i “Whip it” sono in grado di esaltare a sangue, ma ciò di cui si va a discutere qui di seguito è il film, che in Italia è uscito direttamente in DVD e di cui s’è ingiustamente parlato pochissimo.

Opera prima della Barrymore regista, la pellicola (basata sul romanzo “Derby Girl” di Shauna Cross ) narra la storia di Bliss Cavendar (Ellen Page, già vista in “Juno”), una 17enne d’indole anticonformista, incapace di trovare la felicità in quel buco di città dove vive (la fittizia Bodeen, nello stato del Texas) e farsi capire dai genitori: una madre (il premio Oscar Marcia Gray Harden) che la vorrebbe reginetta di bellezza e che non fa altro che iscriverla a concorsi e a conciarla da perfetta mogliettina anni Cinquanta; un padre (Daniel Stern) che semplicemente ignora le insicurezze della figlia adolescente e tantomeno pare interessato a voler sostituire la consorte nell’educazione delle figlie. Bliss non è infatti figlia unica (non all’anagrafe, almeno): a (non) farle compagnia in casa è Shania, sorellina che non ha niente in comune con lei, ma pare bensì perfetta incarnazione degli ideali d’etichetta e bella presenza della madre.

mercoledì 18 maggio 2011

16 & Pregnant: Juno è dispersa, Kayla ha preso il suo posto

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"Ciao, sono Kayla! Ho 17 anni, vivo a Centreland in Alabama! Sono la tipica bellezza del Sud (si salvi chi può allora!!) ma solo perché sono molto femminile non vuol dire che non sia disposta a sporcarmi le mani! Infatto vado a cavallo e a caccia con il mio ragazzo J.R. (Tolkien). Io e lui siamo insieme da 6 mesi ma so già che è l’uomo della mai vita! Ma i miei giorni da spensierata bellezza del sud sono ormai contati perché sono… incinta.”
“16 & Pregnant” e il suo seguito, “Teen Mom”, sono due reality show relativamente recenti prodotti da MTV, che ha ritenuto che far vedere i nuovi migliori amici per sempre di Paris Hilton anno dopo anno fosse un tantino noioso. Le alte intelligenze a capo del network hanno quindi avuto la geniale idea di produrre una serie incentrata sulle gravidanze di teenager americane  sui 16-17 anni e sulle varie difficoltà che queste devono affrontare.
In questo caso specifico, parliamo di Kayla, esempio estremamente rappresentativo (estremamente rappresentativo = nella maggioranza dei casi, non in tutti) della gioventù che passa sotto le telecamere di MTV.

martedì 17 maggio 2011

Dominique Strauss-Kahn è la vera vittima? La parola a Giorgio Stracquadanio

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Cercavo frammenti dell'Infedele di ieri sera. Forse è troppo presto o forse sono stata un'illusa a pensare che le affermazioni di Giorgio Stracquadanio in chiusura della trasmissione potessero diventare un tormentone facebookiano ed youtubiano nel giro di poche ore. Staremo a vedere.

Riassumo dunque quanto avvenuto per chi non avesse avuto il piacere di seguire la puntata.
Discutendo del peso dell'elettorato femminile sui risultati delle comunali, che andavano definendosi in quei minuti, Lucia Annunziata e Gad Lerner hanno portato il discorso sul più ampio tema del fallimento di una certa immagine della donna in politica. La donna pronta a difendere Berlusconi con le unghie e con i denti, anche a costo di negare l'evidenza e denigrare sé stessa in quanto membro della categoria delle donne italiane. La Annunziata sosteneva come negli ultimi tempi molte elettrici si siano stufate, probabilmente perché non riescono ad identicarsi e conseguentemente a sostenere quelle che dovrebbero essere le loro rappresentanti a livello nazionale e talvolta anche locale.
Successivamente ha affermato che questo clima mutato e mutevole lascia trasparire un'altra questione interessante, che procede a braccetto con il rifiuto di un immaginario fatto di signore incazzate, ma sotto sotto "zerbino": forse che le donne abbiano raccolto il coraggio di denunciare i potenti che hanno commesso violenza su di loro?
Dominique Strauss-Kahn
Un esempio chiaro e forte giaceva su un piatto d'argento da parecchie ore, nella forma della cameriera afroamericana che ha recentemente denunciato il direttore del Fondo Montetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn (fino a un paio di giorni fa uno degli uomini più potenti del mondo) per stupro.

L'esempio poteva essere più o meno condivisibile, più o meno calzante. Mi sarei aspettata le reazioni più disparate, magari un attaccarsi all'erroneità del sopraccitato paragone tra Stati Uniti e Italia. Invece è stato detto qualcosa che non mi aspettavo di dover ascoltare.
Giorgio Stracquadanio
Giorgio Stracquadanio, deputato del PdL, già noto per altre sparate su "potere e donne", ha fatto notare che ormai la classe politica è soggetta a costante persecuzione giudiziaria e giornalistica. Ha poi aggiunto che, visti i tempi che corrono, dovrà cominciare a preoccuparsi di prendere l'ascensore in sola compagnia di una persona di genere femminile, perché potrebbe poi trovarsi ingiustamente accusato di molestie o stupro prima ancora di raggiungere il piano al quale si stava recando.

Ah, il clima da caccia delle streghe! Ah, caro Giorgio, quant'è facile rivoltare la frittata, dichiarare che la vittima è Dominique Strass-Kahn, la cui carriera politica è finita nelle fogne, e non la cameriera di Harlem che è stata presa con la violenza. Dimmi, lo fai solo per difendere Silvio, per spostare l'attenzione sui danni alla sua immagine, o sei veramente convinto di quello che dici? Perché se ne sei convinto credo che tu abbia un serio problema di misoginia e, in ogni caso, dovresti dimetterti.
Sì, lo so, oggigiorno in Italia non si dimette più nessuno e poi tu non stavi parlando di Silvio. Stavi parlando di un tizio incredibilmente pieno di soldi e di potere che ha abusato della sua posizione, accaparrandosi il corpo di una donna non consenziente. O, visti i suoi precedenti, forse di più donne.

Devo dunque rassegnarmi; non ti dimetterai. Penso però che, se Lucia Annunziata ha ragione, forse il clima sta veramente mutando. E forse hanno ragione anche gli esponenti dell'opposizione che erano in studio da Gad Lerner ieri sera, quando hanno ringraziato Stracquadanio per la sua ridicola sparata, sostenendo che essa contribuiva non poco a portare acqua al loro mulino in vista dei ballottaggi.
Non si dimetteranno, certo, ma possiamo cacciarli dal Parlamento e dai municipi delle nostre città a suon di voti.

Mtv Made: distruggendo l'autostima dei teenager, un difetto alla volta.

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Made è sempre stato uno dei miei programmi preferiti del palinsesto di MTV. E' un programma con una formula semplice: prendi un adolescente, dagli un obiettivo e cinque settimane per raggiungerlo, e vedi come se la cava.
Chiaramente non sono stata l'unica ad essere catturata: Made ha chiuso la sua undicesima stagione un mese fa, è stato rinnovato per una dodicesima e ha spin-off in diversi stati del mondo – Canada, Francia, Turchia.
Per anni mi sono rifiutata di applicare il mio senso critico a Made, che era il mio momento a zero produzione cognitiva dopo aver studiato un intero pomeriggio – ci sono volute decine di puntate per convincermi che in fondo qualcosa di sbagliato c'era.

Il protagonista maschio standard di Made è il ragazzo sfigato e un poco ciccio che vuole vincere il talent della scuola, o diventare un cosiddetto “ladies man”, qualsiasi cosa voglia dire.
Queste ladies si dividono in due categorie: la sfigata che vuole emergere e la ragazza popolare che vuole dimostrare di essere una dura. La ragazza sfigata vuole diventare reginetta del prom, dimagrire, ma anche diventare una rockstar (uno dei miei episodi preferiti). La ragazza popolare vuole far vedere al resto della scuola che non pensa solo alle scarpe, ma può fare motocross o diventare una pugile.
Hanno tutte qualcosa da dimostrare – e non di certo a se stesse, come sostengono tutte nelle interviste all'inizio della puntata, ma piuttosto agli altri.
Le prime stagioni di Made presentavano ragazze normali, che si ponevano un obiettivo e lo inseguivano per il gusto di vincere una sfida personale. Progredendo nel tempo, le protagoniste si sono sempre di più spostate nella categoria casi umani e anche se non lo erano, venivano trattate come tali.

Diana (S09E13). Da amante di manga e anime a "ragazza vestita come si deve"
Nella nona stagione, tre ragazze si sbranavano vive per vincere un contratto come modella. Anna, Leisha e Keia venivano presentate come una nerd senza amici, una sfigata cavallerizza ed una goth asociale. In realtà è emerso che i loro compagni di scuola erano stati costretti a dire cattiverie su di loro per le testimonianze di inizio puntata, ed avevano passato i mesi successivi a scusarsi – i commenti fatti dalla stessa Anna sono ovviamente spariti dal sito di MTV nel giro di pochissimo.
Quello che nella prima stagione di Made sarebbe stato un esempio positivo di tre ragazze che venivano aiutate ad uscire dal loro guscio di insicurezza, nella nona stagione era una gara spietata ed umiliante, in cui una ragazza taglia 40 veniva definita “chubby”, grassottella, e portata all'esasperazione ed alle lacrime ogni due minuti.

Made è un programma nato con un concetto pseudo-nobile e crollato nella miseria: una puntata non si apre con una persona normale che si vuole migliorare, ma con un difetto enorme da cui la protagonista deve essere assolutamente salvata.
Dopo che il tutto sarà andato in televisione, andrà meglio?
Probabilmente no, ma sarà stato divertente vedere Rachel che da “geek” è diventata “chic” - geek, che parolaccia! - o Ashley, che era già chic, quindi è diventata una pro snowboarder – che orrore, essere una ragazza popolare e simpatica, e non una ribbelle.
La spettacolarizzazione portata all'estremo non è sempre il male, ma in questo caso MTV – una volta una rete innovatrice, interessante, dinamica – ha abbassato ancora di più il suo livello, che si sta uniformando verso il basso, con programmi che si dilettano a schernire chi è davanti alla telecamera, qualsiasi sia la situazione.

Al punto che ora sta per partire Made in versione adulti:
Do you have something you want to prove to your family? Do you often dream about getting back into your cheerleading uniform, winning a cook-off, rocking out with your old band or getting another swing at that pitch that got away? Well, now's your chance. If you appear to be between the ages of 25-50, we want to hear your story.

Meglio di un'associazione di beneficienza: tra mamme minorenni, ragazze ciccione e qualsiasi altra categoria di persone infelici, MTV si sta offrendo di salvare le vite di decine di persone – rovinando quella delle decine di migliaia che guardano i loro programmi e non avranno l'aiuto di un coach per risolvere quello che forse, prima di una puntata in cui Eli è stata trasformata in una “superstar diva”, non era neppure un problema.

lunedì 16 maggio 2011

Grassroots Internet Revolution

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- Carrie Brownstein (ex Sleater-Kinney, ora nelle Wild Flag nonché autrice della serie tv Portlandia) ha una carriera da far invidia a chiunque e non se ne vergogna. La riflessione di Kathleen Hanna.

- Lorella Zanardo, autrice de Il corpo delle donne, racconta l'agguato della troupe di Striscia la Notizia.

- Un consigliatissimo estratto da Big Sex Little Death: A Memoir di Susie Bright: How to Raise a Sexually Healthy Teen.

- Why Won't Glee Give Mercedes a Boyfriend? (su Jezebel). Sì, ce lo stiamo chiedendo anche noi da un paio d'anni.

- A proposito di "libri veri": Il Manzoni scrive da cani (su Gamberi Fantasy). Perchè si studia ancora Manzoni nel 2011? Ha ancora un senso? Gamberetta ci propone di gettare nel dimenticatoio i buoni vecchi Renzo e Lucia e di dedicarci a letture più utili.

- Un grande paese di docenti (su Freddy Nietzsche). Di Dostoevskij, Morgan (in quanto giudice di X-Factor) e molto altro ancora.

- The Catholic Church and Education (su FBomb). L'ora di religione in una scuola cattolica italiana raccontata da una quindicenne femminista. Un post pregevolissimo.

- Traveling Light di Rivkah Gevinson. Un piccolo, splendido cortometraggio sullo stato liminale della ragazza adolescente.

 
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