I LIKE YOU SO MUCH BETTER WHEN YOU'RE NAKED: Ludwig Feuerbach
C'è chi a diciassette anni era innamorata di Brad Pitt. Poi c'è chi, come me, in quinta superiore si prendeva una cotta per un filosofo morto nel 1872.
JULIE RUIN: a genie, rather than a genius (and she wears a scrunchie)
Maestra di vita, figura di spicco del movimento Riot Grrrl sviluppatosi a cavallo degli anni Novanta in quella punta remota degli States che è lo stato di Washington, Kathleen Hanna, ormai è un marchio di fabbrica: qualunque cosa tocchi, diventa oro; e non si fa per dire.
giovedì 28 aprile 2011
Earth Overshoot Day
Basta con la musica pallosa! E’ primavera!
Boo! – Seventies, Eighties, Nineties, Naughties (2000)
mercoledì 27 aprile 2011
Some people think little girls should be seen and not heard but I think oh bondage up yours!
Gioventù
martedì 26 aprile 2011
My So-Called Books: Wintergirls di Laurie Halse Anderson
Alessandro Manzoni |
giovedì 21 aprile 2011
Ho fatto le elementari del libro "Cuore", IV puntata
mercoledì 20 aprile 2011
Come non cambiare l'immaginario: qualche osservazione sul reality show I Used to Be Fat
Ammetto di essere molto delusa da questa deriva, poiché un tempo trovavo conforto guardando alcuni dei programmi che Mtv proponeva. Non sto parlando solo di Daria, che è quanto di più sacro Mtv ci abbia mai donato, ma anche delle prime stagioni di Made, di Avere Vent'anni, di Jackass e del Brand:New pre moltiplicazione dei canali e successiva soppressione di quello che portava questo nome. Ricordo poi di aver intravisto un paio di puntate di uno show condotto da Andrew WK che, se la memoria non m'inganna, si ergeva trionfante sul labile confine tra completa idiozia e pura genialità.
Oggi è raro che un programma di Mtv metta in moto il mio cervello, mi spinga a provare cose nuove e mi conforti circa il mio permanere nello stato di Caso Umano. Al contrario, è facile che un programma di Mtv intacchi gli angoli oscuri della mia testa e mi suggerisca pensieri cattivi, come “Ti vesti da culo”, “A 23 anni non sei ancora capace di truccarti” e “Se vuoi quel contratto editoriale devi vestirti da donna adulta, cioè devi indossare un abito striminzito, metterti delle scarpe tacco 12 e farti la messa in piega che tutte le ragazzette che vanno al prom si fanno”. (Ci tengo a precisare che l'ultimo consiglio è contenuto in una puntata del programma Plain Jane; non l'ho inventato).
Molto spesso questi programmi sono universalmente deprecabili, nel senso che è molto difficile trovarvi degli aspetti positivi o per lo meno problematici da criticare. Esistono però anche altri tipi di programmi; quelli che si reggono come equilibristi sull'oceano delle potenziali critiche, uscendone però vincenti.
A colpirmi recentemente è stato proprio un programma che dal mio punto di vista rientra con agilità nella seconda categoria: I Used to Be Fat .
I Used to Be Fat è uno esempio di reality show semi-impegnato in cui una studentessa o uno studente universalmente riconosciuti come grassi decidono di dedicare qualche mese della loro vita (tre o quattro, da quanto ho visto finora) al dimagrimento intensivo. Nel compiere questa impresa i protagonisti di ciascuna puntata vengono aiutati e seguiti da un personal trainer, che tendenzialmente funge anche da pseudo-terapeuta o da buddy.
Il bello di I Used to Be Fat è che, come anticipavo sopra, ha tendenzialmente ottenuto buone recensioni ed è andato definendosi come un programma che aiuta le persone ad aiutarsi da sole. Detta così, sembrerebbe non esserci nulla di male. Anzi, saremmo forse delle stronzette se pensassimo il contrario.
La faccenda diventa però problematica quando decidiamo di entrare nel dettaglio, di analizzare non solo gli obiettivi generali del programma e la gioia che vediamo sui volti delle persone che sono riuscite a perdere quaranta chili di tre mesi, ma anche tutto ciò che c'è nel mezzo.
Prendiamo ad esempio la seconda puntata, nella quale Marci, una studentessa in procinto di cominciare l'università, dichiara di farsi schifo e di avere come principale obiettivo nella vita quello di entrare negli eleganti vestiti esposti in un negozio dove non hanno la sua taglia.
Sforziamoci di guardare oltre l'idea socialmente condivisa e sedimentata che le persone grasse siano orribili e che il loro compito sia quello di sforzarsi per rientrare nei canoni di ciò che è bello, ovvero della magrezza.
Ascoltiamo cosa viene effettivamente detto.
Marci |
"Venere al bagno" di Pieter Rubens, 1612-1615 circa |
Eppure credo che trattare un tema così complesso e delicato con tale leggerezza – la stessa leggerezza dei programmi che rispondono a gravi disagi personali con un nuovo taglio di capelli o con un intervento di chirurgia estetica – faccia un grande torto agli spettatori del programma di cui stiamo parlando.
Ho già accennato alla presentazione di un modello univoco di femminilità. Esso è parente stretto di un'idea statica di bellezza, totalmente slegata dalla storia del concetto stesso, le cui tracce sono riscontrabili in moltissime opere d'arte che ritraggono donne con la cellulite e i fianchi larghi, archetipi di un'idea di bellezza che cozza sonoramente con quella che domina la nostra società odierna.
A tal proposito, ritengo interessante il caso di Gabriella, la protagonista della prima puntata di I Used to Be Fat. Nella presentazione che ce la fa conoscere all'inizio del programma scopriamo che Gabriella è molto brava a scuola e popolare tra i suoi compagni. E' persino stata eletta reginetta della scuola durante il suo senior year. Ciononostante si sente brutta e tende a mangiare in modo compulsivo. Dichiara inoltre, come farà Marci nella seconda puntata, di aver cominciato a sentirsi brutta e inadeguata durante le scuole elementari, quando veniva chiamata “grassa” da alcuni dei suoi compagni. Guardando delle foto dell'epoca però non posso fare a meno di notare come né Gabriella né Marci fossero particolarmente sovrappeso.
Da come viene presentata la loro storia, sembra che lo stigma imposto sui loro corpi dai compagni di classe – quello di persona grassa – sia progressivamente divenuto realtà. Il problema non è dunque circoscrivibile al corpo di queste ragazze, che per anni sono state prese in giro al punto da non uscire quasi più di casa (come nel caso di Marci) o dal sentirsi costrette a fingere di stare bene, pur covando della sofferenza inespressa (come nel caso di Gabriella). Il fatto di intervenire su di loro aiutandole a perdere quaranta chili in tre mesi risolverà forse una parte dei loro problemi, come quello di entrare nei vestiti desiderati, ma non interverrà sull'idea rigida e monodimensionale di bellezza con la quale tutti noi dobbiamo confrontarci. Non aiuterà a mutare l'immaginario condiviso, a leggittimare qualsiasi tipo di immagine corporea e a prevenire il disagio provato dai bambini e dalle bambine costretti a misurarsi con modelli costruiti con Photoshop. In poche parole, non eviterà alle piccole Marci e Gabriella di oggi di essere umiliate dai compagni e non fornirà loro gli strumenti critici per affrontare le prese in giro e tutto ciò che ci sta dietro.
A tal proposito, concludo segnalando un bel post di Tasha Fierce dal titolo Body Love and Fatness as Choice, che introduce il pressoché inesplorato tema della scelta di una forma corporea sanzionata socialmente, che fa parte dell'altrettanto consigliata serie di post di Bitch Media che porta il titolo di Sex and the Fat Girl.
martedì 19 aprile 2011
Introducing Peggy Oki
venerdì 15 aprile 2011
mercoledì 13 aprile 2011
Ho fatto le elementari del libro "Cuore", III puntata.
martedì 12 aprile 2011
"Porco Rosso" di H.Miyazaki
Porco Rosso (per gli amici “Porco” e per i nemici “Porcellastro”) è il curioso protagonista dell’omonimo film d’animazione del maestro Hayao Miyazaki (Oscar per miglior film d’animazione con “La città incantata” nel 2003 e Leone d’Oro alla carriera nel 2005), uscito in Italia lo scorso anno, a ben diciott’anni di distanza dalla prima uscita giapponese. Per gli appassionati italiani l’attesa è stata evidentemente più che lunga, ma - si può affermare - ben ripagata. L’adattamento italiano è riuscito ottimamente e le recensioni sono risultate assai positive. La bellissima voce di Porco Rosso è di Massimo Corvo, già doppiatore – tra gli altri – di Morpheus di “Matrix”, Mr. White de “Le iene”, Benicio Del Toro in “21 grammi” e di Jafar in “Aladdin” e il suo sequel.
La storia è ambientata negli anni del primo dopoguerra (la cosiddetta “era degli idrovolanti”, stando ai titoli di apertura) e segue le vicende di Porco Rosso, ex pilota dell’aeronautica italiana che a seguito di un maleficio vive costretto nei panni di un maiale. La sua bizzarra condizione lo isola dal resto degli esseri umani, anche se con alcuni di questi intrattiene comunque un buonissimo rapporto. Porco ora è un esperto cacciatore di taglie perennemente sulle tracce dei “Pirati del cielo”, degli scalcagnati criminali divenuti tormento delle varie navi in transito lungo l’Adriatico. Desiderosi di sbarazzarsi del maiale, i pirati non esitano a chiedere aiuto all’abile pilota americano (“ma con una nonnina per un quarto italiana”) Donald Curtis. Dal primo scontro tra i due, l’idrocaccia rosso di Porco non esce affatto indenne, tanto che il pilota si vede costretto a portarlo a riparare presso la fidata ditta “Piccolo” di Milano. Il vecchietto che la gestisce è ora affiancato dalla nipote Fio, appena giunta dall’America: sarà lei a doversi occupare della messa a nuovo del velivolo. Le iniziali reticenze di Porco (una progettista di 17 anni, femmina? Stiamo scherzando?) vengono superate con facilità quando Fio mostra di essere competente quanto determinata ad eseguire un buon lavoro. La spigliatezza della giovane conquisterà presto il duro cuore di Porco e i due diverranno grandi amici. Sarà proprio lei, anzi, a salvare l’eroe da un’imboscata dei pirati della banda “Mamma Aiuto” e a proporre un’ultima sfida tra lui e l’americano Curtis: in nome dell’onore che, si sa, è tutto per i piloti di idrovolanti.
“Io, sapete, sono cresciuta ascoltando racconti sui piloti di idrovolanti sin da quando ero piccola. ‘Non esistono uomini più gradevoli di coloro che pilotano gli idrovolanti’, il mio nonnino lo diceva sempre. E questo perché sia il cielo che il mare, entrambi, lavano gli animi di tutti loro. Per questo i piloti di idrovolanti sono più impavidi dei marinai e sono più fieri dei piloti di semplici aeroplani … Per loro ciò che è più importante di tutto non sono né le donne né il denaro, bensì l’onore!”
Nient’affatto timida, volonterosa e disinvolta affarista, Fio Piccolo è un bel personaggio femminile nella storia di Miyazaki, cui si affianca la sofisticata Gina, cantante dell’Hotel Adriano (tappa fissa dei piloti dell’Adriatico, criminali e non). Gina è una presenza anomala in un contesto rozzo e grossolano come quello dei piloti di idrovolanti. Paciera, in sua presenza ogni diatriba tra bande viene meno (entro cinquanta chilometri dal suo locale loro non lavorano; parola di pirata). Sposata per tre volte con dei piloti e per tre volte ritrovatasi vedova, conosce Porco (originariamente noto col nome di Marco Pagot) da sempre e ne è - neanche troppo segretamente - innamorata. Porco (che lei e solo lei chiama ogni volta “Marco”) pare rifuggire quest’amore, nonostante le sia affezionato: come una sorta di affascinante e impenetrabile Humphrey Bogart in versione suino-antropomorfa (impermeabile, sigarette e panama contribuiscono a questa suggestione), il pilota non può stare con Gina e non si capisce se ciò sia dovuto al maleficio di cui è vittima o se sia proprio retaggio del suo spirito libero. In ogni caso, alcuni scambi di battute tra i due sono memorabili nella loro tragicomicità (al telefono, Gina esprime la sua preoccupazione per questi continui scontri tra piloti, dicendogli: “Marco, tu prima o poi finirai come maiale arrosto; io non lo voglio un funerale del genere”. Al che lui risponde con una citazione da urlo, che è quella che ho piazzato in apertura dell’articolo e lei gli chiude la bocca con uno “STUPIDO!”, indignata).
Come in altri film, anche qui insomma Miyazaki ci mostra diversi universi femminili trattati con cura e delicatezza. In un’altra apprezzabile sequenza vediamo comparire, in massa, le parenti del Sig. Piccolo (un tripudio di nipoti, figlie di nipoti, mogli dei figli, nonnine) pronte a dare il massimo per assicurare a Porco Rosso un soddisfacente pernottamento e una valida manodopera; c’è un botta e risposta tra vecchiette e maiale che fa assai sorridere, nella sua genuinità.
Dato che (notizia di questi ultimi giorni) è stata vergognosamente avanzata in Senato una proposta per abrogare la norma che vieta la ricostruzione in qualsiasi forma del defunto partito fascista, c’è solo da sostenerlo, un protagonista così. Non lo trovate ... educativo?
domenica 10 aprile 2011
Dissipatio H.G.
venerdì 8 aprile 2011
AMERICAN ICONS: Chuck Taylor e le "All Stars" della Converse
EPILOGO.
*L'illustrazione a capo dell'articolo è di Roy Wright