Visualizzazione post con etichetta università. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta università. Mostra tutti i post

lunedì 30 maggio 2011

L'amore non guasta

0 commenti

Di solito prima di scrivere la recensione di un libro aspetto di far sedimentare la lettura, prendo le distanze dal sommovimento emotivo che mi ha causato, tento, per deformazione professionale, di guardarlo con occhio critico. Questa volta però faccio un'eccezione e voglio scrivere di getto, a meno di mezz'ora dalla fine dell'ultima riga, qualche parola e qualche impressione sul libro di Jonathan Coe L'amore non guasta.
Quando ho preso il volume fra le mani, pochi giorni fa in una libreria cittadina, e ho letto la quarta di copertina, ho pensato che non potevo esimermi dal comprarlo: il libro mi parlava, come se si fosse trattato di un incontro casuale fra due futuri amici.
Si direbbe che per Jonathan Coe il momento in cui si decide il destino di un individuo non sono i primi anni di vita, come suggerisce la psicoanalisi, ma quella sconfinata adolescenza e quel perpetuo fuoricorso che cominciano subito dopo aver lasciato il liceo e la famiglia e che corrispondono al vegetare dentro il calore debole ma protettivo di un'università di provincia, seguendo la trafila delle sessioni, degli esami, della laurea, di una tesi di dottorato sempre da scrivere e mai scritta.
Nel giro di pochissime pagine la prosa asciutta e ruvida di Coe mi ha conquistata. Il suo modo di puntare all'essenziale, senza fronzoli e senza digressioni- in sè molto lontano dallo stile che tendo a prediligere- mi ha tenuta incollata alla pagine in una lettura ingenua e "tutta d'un fiato" che non praticavo da diverso tempo. La storia è semplice, scarna se si vuole: un intreccio di differenti vicende biografiche che ruotano tutte attorno al personaggio principale, Robin, dottorando senza tesi, bloccato in uno stato di perpetuo blocco dello scrittore. Un inetto a vivere circondato da tanti altri inetti, alcuni dei quali palesi, come il compagno di discussioni accademiche Hugh o la studentessa indiana Aparna, altri falsamente "arrivati", trincerati nelle loro sicurezze famigliari e lavorative, incapaci di vedere oltre la loro limitante prospettiva, come Tom, ex compagno di studi del protagonista. Il romanzo si sviluppa su più piani e con un continuo scambio di narratori e punti di vista. Nel primo capitolo entriamo in punta di piedi nella vicenda attraverso gli occhi di Tom, per poi spostarci su Robin ed infine su Hugh e Aparna. Questi momenti di narrazione diretta sono intervallati da brevi racconti, scritti da Robin, che hanno con la vicenda principale un preciso e palese nesso biografico. Piccoli inserti perfettamente incastonati nel piano complessivo.
Eccezionale, per la profondità di analisi sul tema dell'amicizia, dell'amore e dei rapporti interpersonali, il racconto La lite degli innamorati, che ritengo avrebbe potuto essere uno splendido canovaccio per una narrazione autonoma.
Forse però la bellezza di questo romanzo risiede proprio nei mille spunti proposti, nel non indugiare troppo su una tematica, ma offrire piuttosto una variegata casistica grazie alla quale il lettore può farsi una sua idea sul tema chiave della vicenda che, a dispetto del titolo, non è unicamente l'amore o almeno non l'amore quale siamo soliti pensare comunemente.
Sono diverse infatti le situazioni di amore erotico, espresso o inespresso, nella storia. Tutte, inevitabilmente, tendono a finire male. Soltanto del matrimonio fra Tom e sua moglie non sappiamo nulla. Su questa donna, oggetto di tanto amore e motivo di tante riflessioni, l'autore ci dichiara di non voler spendere una sola parola. Eppure, ci stuzzica sadicamente, sarebbe stato molto interessante. Tornando all'amore, vediamo qui espresse tutte le difficoltà possibili di definizione di un rapporto: amici, innamorati, amanti, colleghi si mescolano e confondono in una reale impossibilità di definizione pregnante.
Di fondo resta un'aura cupa di solitudine e incomunicabilità che non abbandona mai il lettore. Forse l'esistenza è fatta unicamente di pensieri inespressi (come la tesi mai scritta di Robin), destinati a causare dolore e sofferenza, quando, a fronte di un dialogo onesto, potrebbero portare amore e vicinanza fra gl'individui. Le parole però non escono dalla bocca dei personaggi- per tutto il libro scivoliamo unicamente fra i loro pensieri- e quando lo fanno stridono causando incomprensioni e riaprendo ferite.
Forse per capire fino in fondo questo libro sarebbe davvero necessaria una lettura plurima, concentrata, attenta ai dettagli e magari annotata. Per ora mi limito a consigliarvelo, come un piccolo capolavoro d'introspezione collettiva delle mille sfumature legate all'umano sentire amore.

mercoledì 16 marzo 2011

Montag oder Mittwoch #0

0 commenti

Il 15 aprile 2010 i cieli europei furono completamente ricoperti da una nube enorme e minacciosa. Un vulcano islandese dal nome impronunciabile e, fino a quel momento, sconosciuto, era improvvisamente sulla bocca di tutti. Probabilmente il suo nome era anche seguito da qualche imprecazione, poiché le ceneri che da lui fuoriuscivano avevano paralizzato il traffico aereo.
Tutto ciò causò enormi e variopinti disagi: viaggi annullati, concerti rimandati, matrimoni a cui mancavano gli invitati e lunghi viaggi in treno per tornare a casa dai luoghi dove magari si era pensato di stare solo per un week-end.
Poche ore prima della Grande Esplosione di Cenere, il mio aereo era partito tranquillo ed era atterrato altrettanto comodamente. La famiglia intera mi aveva amorevolmente accompagnata all'aeroporto di Bergamo. Appena una settimana prima festeggiavo la mia inutile laurea in Scienze Politiche ballando i Mùm sul mio prato in collina, bevendo Montenegro (amaro di cui allora facevo abbondante uso, ignorando la sua irreperibilità in terra crucca) e abbracciando gli alberi (letteralmente). Come potete facilmente immaginare, una settimana prima ancora dissertavo la mia scarna tesi di trenta pagine e salutavo la cara, grassa, rossa e dotta Bologna che per tre anni e mezzo mi aveva coccolata e allevata.
Nei giorni precedenti la mia partenza mi ero spesso chiesta se alla fine su quell'aereo ci sarei salita oppure no. In fondo sulla mia coscienza pesavano solo i 14 euro di un volo low cost. Appena più difficile sarebbe stato salvare la faccia dopo tutto quel parlare di prendere, mollare tutto (ma tutto cosa?) e partire. Ma chi avrebbe potuto biasimarmi? Con quale diritto?
Alla fine sì, partii per Berlino con quindici chili di vestiti e un futuro a breve termine completamente da scrivere.
Oggi sono a Berlino da esattamente undici mesi. Ho da poco cominciato un nuovo corso di tedesco e mi hanno piazzato all'inizio del livello C1.
Penso sempre che in questi momenti vorrei tanto trovarmi davanti la mia professoressa di tedesco delle medie. Quella antipatica che durante l'ora di ricevimento aveva detto a mia madre che nella vita non avrei combinato assolutamente nulla. Quella per cui, alla fine delle medie, giurai che mai e poi mai avrei continuato a studiare tedesco anche alle superiori. Vorrei trovarmela davanti e farle capire che forse non ero così da buttare.
Ricordo ancora quando cominciò a spiegare il nominativo e gli altri casi e io le chiesi cosa fossero. Lei mi guardò e mi rispose: “Richelli, proprio tu, che l'anno prossimo vuoi andare al Liceo Classico, mi chiedi cos'è il nominativo?” Ovviamente si guardò bene dallo spiegarmelo e questa scena dalla stupidità cristallina mi appare surreale ancora oggi.
Qualche sera fa un'amica mi ha chiesto: “Ma è per colpa di Berlusconi che ti sei trasferita a Berlino?” e non sapevo bene come rispondere. Nì, mi è venuto da dire. Quello stronzo probabilmente non merita nessuna pietà, ma non è altro che la punta di un iceberg. Lui, come la mia professoressa di tedesco, e come i professori della mia professoressa di tedesco ancora prima, fanno parte di un sistema enorme, complicato e profondo che a mano a mano sta distruggendo non solo un paese, ma anche tante piccole speranze e potenzialità, tanti piccoli futuri. I nostri.
Quando sono partita non ero la più incazzata dei miei coetanei. Ma ad essere tanto incazzati forse non si va da nessuna parte. Al contrario, bisogna fare qualcosa.
Io ho cambiato aria, ma spero un giorno di poter tornare a casa e tentare di cambiare le cose e far respirare anche nella vecchia e immobile Verona un pezzettino della Luft che c'è qui. Intanto ve ne racconterò una parte.
Il mio “diario” o le mie riflessioni da Berlino si chiamano “Montag oder Mittwoch” perché quando studiavo tedesco alle elementari mi facevano sempre scrivere la data, per farmi imparare i giorni della settimana. Avendo però avuto per anni lezione solo due volte alla settimana, per lungo tempo ho saputo dire solo “Lunedì” o “Mercoledì”. Uscirà un po' quando mi pare, ma sempre di lunedì o di mercoledì.
 
Powered by Blogger