giovedì 19 maggio 2011

Del sano Girl Power su ruote. Pollici su per il film "Whip it", diretto dalla Barrymore

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“Whip it”: non solo una canzone dei Devo datata 1980, ma anche il titolo di un film uscito nel più recente 2009, diretto da Drew Barrymore. Preciso che entrambi i “Whip it” sono in grado di esaltare a sangue, ma ciò di cui si va a discutere qui di seguito è il film, che in Italia è uscito direttamente in DVD e di cui s’è ingiustamente parlato pochissimo.

Opera prima della Barrymore regista, la pellicola (basata sul romanzo “Derby Girl” di Shauna Cross ) narra la storia di Bliss Cavendar (Ellen Page, già vista in “Juno”), una 17enne d’indole anticonformista, incapace di trovare la felicità in quel buco di città dove vive (la fittizia Bodeen, nello stato del Texas) e farsi capire dai genitori: una madre (il premio Oscar Marcia Gray Harden) che la vorrebbe reginetta di bellezza e che non fa altro che iscriverla a concorsi e a conciarla da perfetta mogliettina anni Cinquanta; un padre (Daniel Stern) che semplicemente ignora le insicurezze della figlia adolescente e tantomeno pare interessato a voler sostituire la consorte nell’educazione delle figlie. Bliss non è infatti figlia unica (non all’anagrafe, almeno): a (non) farle compagnia in casa è Shania, sorellina che non ha niente in comune con lei, ma pare bensì perfetta incarnazione degli ideali d’etichetta e bella presenza della madre.

mercoledì 18 maggio 2011

16 & Pregnant: Juno è dispersa, Kayla ha preso il suo posto

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"Ciao, sono Kayla! Ho 17 anni, vivo a Centreland in Alabama! Sono la tipica bellezza del Sud (si salvi chi può allora!!) ma solo perché sono molto femminile non vuol dire che non sia disposta a sporcarmi le mani! Infatto vado a cavallo e a caccia con il mio ragazzo J.R. (Tolkien). Io e lui siamo insieme da 6 mesi ma so già che è l’uomo della mai vita! Ma i miei giorni da spensierata bellezza del sud sono ormai contati perché sono… incinta.”
“16 & Pregnant” e il suo seguito, “Teen Mom”, sono due reality show relativamente recenti prodotti da MTV, che ha ritenuto che far vedere i nuovi migliori amici per sempre di Paris Hilton anno dopo anno fosse un tantino noioso. Le alte intelligenze a capo del network hanno quindi avuto la geniale idea di produrre una serie incentrata sulle gravidanze di teenager americane  sui 16-17 anni e sulle varie difficoltà che queste devono affrontare.
In questo caso specifico, parliamo di Kayla, esempio estremamente rappresentativo (estremamente rappresentativo = nella maggioranza dei casi, non in tutti) della gioventù che passa sotto le telecamere di MTV.

martedì 17 maggio 2011

Dominique Strauss-Kahn è la vera vittima? La parola a Giorgio Stracquadanio

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Cercavo frammenti dell'Infedele di ieri sera. Forse è troppo presto o forse sono stata un'illusa a pensare che le affermazioni di Giorgio Stracquadanio in chiusura della trasmissione potessero diventare un tormentone facebookiano ed youtubiano nel giro di poche ore. Staremo a vedere.

Riassumo dunque quanto avvenuto per chi non avesse avuto il piacere di seguire la puntata.
Discutendo del peso dell'elettorato femminile sui risultati delle comunali, che andavano definendosi in quei minuti, Lucia Annunziata e Gad Lerner hanno portato il discorso sul più ampio tema del fallimento di una certa immagine della donna in politica. La donna pronta a difendere Berlusconi con le unghie e con i denti, anche a costo di negare l'evidenza e denigrare sé stessa in quanto membro della categoria delle donne italiane. La Annunziata sosteneva come negli ultimi tempi molte elettrici si siano stufate, probabilmente perché non riescono ad identicarsi e conseguentemente a sostenere quelle che dovrebbero essere le loro rappresentanti a livello nazionale e talvolta anche locale.
Successivamente ha affermato che questo clima mutato e mutevole lascia trasparire un'altra questione interessante, che procede a braccetto con il rifiuto di un immaginario fatto di signore incazzate, ma sotto sotto "zerbino": forse che le donne abbiano raccolto il coraggio di denunciare i potenti che hanno commesso violenza su di loro?
Dominique Strauss-Kahn
Un esempio chiaro e forte giaceva su un piatto d'argento da parecchie ore, nella forma della cameriera afroamericana che ha recentemente denunciato il direttore del Fondo Montetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn (fino a un paio di giorni fa uno degli uomini più potenti del mondo) per stupro.

L'esempio poteva essere più o meno condivisibile, più o meno calzante. Mi sarei aspettata le reazioni più disparate, magari un attaccarsi all'erroneità del sopraccitato paragone tra Stati Uniti e Italia. Invece è stato detto qualcosa che non mi aspettavo di dover ascoltare.
Giorgio Stracquadanio
Giorgio Stracquadanio, deputato del PdL, già noto per altre sparate su "potere e donne", ha fatto notare che ormai la classe politica è soggetta a costante persecuzione giudiziaria e giornalistica. Ha poi aggiunto che, visti i tempi che corrono, dovrà cominciare a preoccuparsi di prendere l'ascensore in sola compagnia di una persona di genere femminile, perché potrebbe poi trovarsi ingiustamente accusato di molestie o stupro prima ancora di raggiungere il piano al quale si stava recando.

Ah, il clima da caccia delle streghe! Ah, caro Giorgio, quant'è facile rivoltare la frittata, dichiarare che la vittima è Dominique Strass-Kahn, la cui carriera politica è finita nelle fogne, e non la cameriera di Harlem che è stata presa con la violenza. Dimmi, lo fai solo per difendere Silvio, per spostare l'attenzione sui danni alla sua immagine, o sei veramente convinto di quello che dici? Perché se ne sei convinto credo che tu abbia un serio problema di misoginia e, in ogni caso, dovresti dimetterti.
Sì, lo so, oggigiorno in Italia non si dimette più nessuno e poi tu non stavi parlando di Silvio. Stavi parlando di un tizio incredibilmente pieno di soldi e di potere che ha abusato della sua posizione, accaparrandosi il corpo di una donna non consenziente. O, visti i suoi precedenti, forse di più donne.

Devo dunque rassegnarmi; non ti dimetterai. Penso però che, se Lucia Annunziata ha ragione, forse il clima sta veramente mutando. E forse hanno ragione anche gli esponenti dell'opposizione che erano in studio da Gad Lerner ieri sera, quando hanno ringraziato Stracquadanio per la sua ridicola sparata, sostenendo che essa contribuiva non poco a portare acqua al loro mulino in vista dei ballottaggi.
Non si dimetteranno, certo, ma possiamo cacciarli dal Parlamento e dai municipi delle nostre città a suon di voti.

Mtv Made: distruggendo l'autostima dei teenager, un difetto alla volta.

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Made è sempre stato uno dei miei programmi preferiti del palinsesto di MTV. E' un programma con una formula semplice: prendi un adolescente, dagli un obiettivo e cinque settimane per raggiungerlo, e vedi come se la cava.
Chiaramente non sono stata l'unica ad essere catturata: Made ha chiuso la sua undicesima stagione un mese fa, è stato rinnovato per una dodicesima e ha spin-off in diversi stati del mondo – Canada, Francia, Turchia.
Per anni mi sono rifiutata di applicare il mio senso critico a Made, che era il mio momento a zero produzione cognitiva dopo aver studiato un intero pomeriggio – ci sono volute decine di puntate per convincermi che in fondo qualcosa di sbagliato c'era.

Il protagonista maschio standard di Made è il ragazzo sfigato e un poco ciccio che vuole vincere il talent della scuola, o diventare un cosiddetto “ladies man”, qualsiasi cosa voglia dire.
Queste ladies si dividono in due categorie: la sfigata che vuole emergere e la ragazza popolare che vuole dimostrare di essere una dura. La ragazza sfigata vuole diventare reginetta del prom, dimagrire, ma anche diventare una rockstar (uno dei miei episodi preferiti). La ragazza popolare vuole far vedere al resto della scuola che non pensa solo alle scarpe, ma può fare motocross o diventare una pugile.
Hanno tutte qualcosa da dimostrare – e non di certo a se stesse, come sostengono tutte nelle interviste all'inizio della puntata, ma piuttosto agli altri.
Le prime stagioni di Made presentavano ragazze normali, che si ponevano un obiettivo e lo inseguivano per il gusto di vincere una sfida personale. Progredendo nel tempo, le protagoniste si sono sempre di più spostate nella categoria casi umani e anche se non lo erano, venivano trattate come tali.

Diana (S09E13). Da amante di manga e anime a "ragazza vestita come si deve"
Nella nona stagione, tre ragazze si sbranavano vive per vincere un contratto come modella. Anna, Leisha e Keia venivano presentate come una nerd senza amici, una sfigata cavallerizza ed una goth asociale. In realtà è emerso che i loro compagni di scuola erano stati costretti a dire cattiverie su di loro per le testimonianze di inizio puntata, ed avevano passato i mesi successivi a scusarsi – i commenti fatti dalla stessa Anna sono ovviamente spariti dal sito di MTV nel giro di pochissimo.
Quello che nella prima stagione di Made sarebbe stato un esempio positivo di tre ragazze che venivano aiutate ad uscire dal loro guscio di insicurezza, nella nona stagione era una gara spietata ed umiliante, in cui una ragazza taglia 40 veniva definita “chubby”, grassottella, e portata all'esasperazione ed alle lacrime ogni due minuti.

Made è un programma nato con un concetto pseudo-nobile e crollato nella miseria: una puntata non si apre con una persona normale che si vuole migliorare, ma con un difetto enorme da cui la protagonista deve essere assolutamente salvata.
Dopo che il tutto sarà andato in televisione, andrà meglio?
Probabilmente no, ma sarà stato divertente vedere Rachel che da “geek” è diventata “chic” - geek, che parolaccia! - o Ashley, che era già chic, quindi è diventata una pro snowboarder – che orrore, essere una ragazza popolare e simpatica, e non una ribbelle.
La spettacolarizzazione portata all'estremo non è sempre il male, ma in questo caso MTV – una volta una rete innovatrice, interessante, dinamica – ha abbassato ancora di più il suo livello, che si sta uniformando verso il basso, con programmi che si dilettano a schernire chi è davanti alla telecamera, qualsiasi sia la situazione.

Al punto che ora sta per partire Made in versione adulti:
Do you have something you want to prove to your family? Do you often dream about getting back into your cheerleading uniform, winning a cook-off, rocking out with your old band or getting another swing at that pitch that got away? Well, now's your chance. If you appear to be between the ages of 25-50, we want to hear your story.

Meglio di un'associazione di beneficienza: tra mamme minorenni, ragazze ciccione e qualsiasi altra categoria di persone infelici, MTV si sta offrendo di salvare le vite di decine di persone – rovinando quella delle decine di migliaia che guardano i loro programmi e non avranno l'aiuto di un coach per risolvere quello che forse, prima di una puntata in cui Eli è stata trasformata in una “superstar diva”, non era neppure un problema.

lunedì 16 maggio 2011

Grassroots Internet Revolution

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- Carrie Brownstein (ex Sleater-Kinney, ora nelle Wild Flag nonché autrice della serie tv Portlandia) ha una carriera da far invidia a chiunque e non se ne vergogna. La riflessione di Kathleen Hanna.

- Lorella Zanardo, autrice de Il corpo delle donne, racconta l'agguato della troupe di Striscia la Notizia.

- Un consigliatissimo estratto da Big Sex Little Death: A Memoir di Susie Bright: How to Raise a Sexually Healthy Teen.

- Why Won't Glee Give Mercedes a Boyfriend? (su Jezebel). Sì, ce lo stiamo chiedendo anche noi da un paio d'anni.

- A proposito di "libri veri": Il Manzoni scrive da cani (su Gamberi Fantasy). Perchè si studia ancora Manzoni nel 2011? Ha ancora un senso? Gamberetta ci propone di gettare nel dimenticatoio i buoni vecchi Renzo e Lucia e di dedicarci a letture più utili.

- Un grande paese di docenti (su Freddy Nietzsche). Di Dostoevskij, Morgan (in quanto giudice di X-Factor) e molto altro ancora.

- The Catholic Church and Education (su FBomb). L'ora di religione in una scuola cattolica italiana raccontata da una quindicenne femminista. Un post pregevolissimo.

- Traveling Light di Rivkah Gevinson. Un piccolo, splendido cortometraggio sullo stato liminale della ragazza adolescente.

sabato 14 maggio 2011

Tanta nostalgia degli anni ’90. Cult Series: My So-Called Life.

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La mia ultima scoperta e ossessione in campo televisivo si chiama My So-Called Life.
Dopo averne tanto sentito parlare, l’ho finalmente scaricato e adesso mi pento di non averlo fatto molto prima. Forse se avessi visto questa serie alle superiori, sarei sfuggita prima alle grinfie della fase “idiozia adolescenziale” in cui sono stata intrappolata almeno per un paio di anni.

My So-Called Life è un telefilm creato da Winnie Holzman (già sceneggiatrice di Thirtysomething), trasmesso tra il 1994 e il 1995 sul canale americano ABC. La sua cancellazione avviene dopo solo una stagione ed è anche per questo che si è guadagnato lo status di Cult series e un posto nella classifica dei 100 migliori show televisivi di tutti i tempi redatta dal Time.

"It just seems like, you agree to have a certain personality or something. For no reason. Just to make things easier for everyone. But when you think about it, I mean, how do you know it's even you? "

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Intervistando Teresa Cannatà : You've got no reason not to like her.

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Ore otto e quarantacinque anti meridiane. Io e Corsageàcarreaux ci troviamo davanti al liceo Corradini di Thiene e attendiamo non senza un po’ d’agitazione -sarà il sonno, sarà la fame, saranno le stagioni- l’arrivo della nostra intervistata. Sto parlando di Teresa Cannatà, giovane docente di lingua inglese presso il suddetto istituto, collaboratrice del portale Vogue Italia, nonché ideatrice del progetto You’ve got no reason not to fight. Tra poco ne saprete di più, stay tuned.

Mentre aspettiamo fuori dall'edificio, un’orda di studenti con relativi prof al seguito ci pascola davanti per tornare a seguire le regolari lezioni in classe. Le nostre reazioni inizialmente sono differenti. Mi accorgo che Collegaàcarreaux sta ritrovando la sua spavalderia precedentemente persa nel sonno. La tradisce un’espressione fra il gioioso e il beota: ella sa infatti che non dovrà chinare la testa e seguire i compagni per subire le dure lezioni impartite dagli insegnanti. Ella potrà andarsene al bar. POTRA’ ANDARSENE AL BAR.
Dalla mia, invece, la reazione è mantenuta molto sul low profile, anzi, si sposta sul lower, e non appena scorgo i visi dei pastori di mandrie studentesche sento di dover ancora una volta abbassare la testa. Ehi? Perché niente rimproveri? Dove sono i checifailìfilainclasselaprossimaoratiinterrogo? Poi capisco. Eccola. L’espressione tra il gioioso e il beota mi ha raggiunta.
POTREMO ANDARE AL BAR.

Che poi, fa tanto alcolismo ultimo stadio messa così no? Invece no. Siamo solo in sollucchero per non aver più sedici anni, i brufoli (ehm ehm) e le regole che i sedici anni comportano. Non che da ultra ventenni la vita sia in discesa. Ma il primo scalino in salita almeno l’hai già fatto.

Tutto ciò avviene tra le otto e quarantacinque e le otto e quarantasette.
Teresa infatti ci raggiunge puntuale. Grazie a Dio; lo stream of consciousness da disadattate è stato placato.
Dicevamo. Teresa. O meglio, una maglietta dei Nirvana. Perché è esattamente questo il dettaglio su cui il nostro occhio si è fissato. Una sorridente professoressa con la t-shirt dei Nirvana (sfondo bianco e figura alata della copertina di In Utero), l’aria gentile e un’aura grunge che ci mette subito a nostro agio. Le titubanze iniziali decadono all’istante e mi trovo già a fantasticare sulla chiacchierata che stiamo per fare. Dopo esserci spostate in un bar (eh eh) non lontano, attacchiamo con le domande.

mercoledì 11 maggio 2011

Qualcuno gioca sporco

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Qualcuno gioca sporco sulla nostra pelle, mantenendosi però all'interno dei limiti di legge e, magari, facendosi a parole paladino della difesa dei diritti delle donne.
Alcuni mesi fa, su queste pagine, si parlava della recente commercializzazione, all'interno dei negozi del colosso americano della distribuzione Walmart, di una linea di trucchi ideata ed espressamente dedicata alle pre-adolescenti. "Un semplice gioco" sostenevano alcuni, "Chi non ha mai rubato da piccola il rossetto della mamma per truccarsi?" chiedevano altri. Non ritorno sul tema, già ampiamente affrontato da Margherita, e nemmeno voglio soffermarmi su programmi dedicati alle teen ager incentrati sul tema della "linea perfetta". Anche in questo caso infatti c'è chi ne ha già parlato e meglio di quanto potrei fare io.
Il post di oggi nasce invece da una riflessione che facevo alcuni giorni fa mentre cercavo di acquistare un paio di jeans: nulla di più banale. Bene, prima di riuscire a trovare un paio di pantaloni adatti ho fatto numerose prove in diversi negozi della mia città: dalle grandi catene ai semplici negozi del centro. Ragazza dai gusti difficili? Direi di no, semplicemente non riuscivo a trovare un paio di jeans adatti alla mia costituzione. A questo punto si rende necessaria una piccola divagazione biografica: non sono una ragazza particolarmente grassa o particolarmente magra. Secondo le tabelle dell'Organizzazione mondiale della sanità sono classificabile come una donna di corretto peso forma, non sono sproporzionata, almeno non in modo patologico, appartengo, come costituzione, al tipo medio di ragazza mediterranea (il che, vivendo in Italia, a rigor di logica, credo sia comune).
Date queste premesse dovrebbe essere per me abbastanza semplice trovare un paio di banalissimi jeans e invece l'impresa si è rivelata più ardua del previsto. La maggior parte dei negozi che ho visitato infatti vendevano prodotti le cui taglie non erano, evidentemente, tarate sul concetto di "normalità" individuato dalle, sempre molto elogiate, normative mediche europee. Una 40 corrispondeva all'incirca ad una 36, una 42 ad una 38 e così via. Nessun problema particolare, direte voi, basta comprare una 46 e avrai il paio di jeans tanto agognato. Peccato però che la taglia 46 non fosse prevista: troppo grande. Osservo più attentamente i capi d'abbigliamento proposti: sono modelli giovani, spesso di marche di medio costo, rivolti evidentemente ad un pubblico della mia età. Altro grave errore: evidentemente il pubblico non è solamente questo. E qui si scopre l'arcano: ad un'analisi più attenta del target dei negozi e della conformazione dei prodotti, mi accorgo che sono davanti a jeans per ragazze tarati su taglie da bambina. Vita e fianchi strettissimi, gambe lunghe, modello attillato.
Mi fermo a riflettere: quando portavo una 36 (perché c'è un momento nella vita di tutte noi nel quale abbiamo portato una 36)? Quando avevo all'incirca 11-12 anni e la 36 non si chiamava così, ma si chiamava taglia 11-12. Al tempo vestivo abiti studiati per la mia età: cose carine s'intenda, non immaginatemi vestita da damina o con assurdi pagliaccetti, ma erano abiti disegnati da stilisti (mi piace riconoscere il nome di stilista non solo alle grandi firme, ma anche al ragazzo sottopagato che disegna felpe per note multinazionali) appositamente per la mia fascia d'età.

Mi fermo a riflettere: quante dodicenni ora come ora accetterebbero ancora di vestirsi alla Benetton bambini, solo per fare un esempio? Mi guardo intorno e noto che effettivamente il negozio è popolato da ragazzine molto giovani. Forse ho sbagliato reparto? No, sono nel posto giusto, o almeno in quello che fino a pochi anni fa poteva essere considerato il posto giusto e ora, a meno che non si voglia passare per gravi obese, non è più adatto ad una ragazza normale di 26 anni. Cambio negozio, stessa trafila. Mi domando se sia giusto, per le mie coetanee e non solo, vivere con la costante sensazione di essere "fuori dal canone". Conosco ragazze che, mortificate per le continue prove fallimentari di taglie ritenute un tempo idonee a ragazze normali, affrontano diete estenuanti per rientrare nei vestiti di quando avevano 12 anni. 12 anni, praticamente delle bambine. Prima di chiudere con alcune amare riflessioni vi rassicuro sulle mie sorti: ho trovato i jeans e li ho trovati in una catena che utilizza taglie normali, per donne normali e possiede un apposito reparto bambini in cui le dodicenni possono andare a fare spese.
Dopo questa parentesi rasserenante però devo passare alle amare riflessioni: da anni ci sentiamo bombardare da messaggi edificanti e anti anoressia che ci incitano ad accettare il nostro corpo, ad amarci "perché noi valiamo", a fare riferimento a criteri di "salute" e non a modelli assurdi dettati dalla malattia di alcune modelle. Tante belle parole, che però vengono trascinate via dal vento del mondo reale, quel mondo dove è molto difficile sentirsi "normali" non trovando capi d'abbigliamento della propria taglia, spinte in un continuo confronto con lolite adolescenti. L'ipocrisia di questo discorso è evidente, ma forse lo è per me che, fortuna ha voluto, sono nata e cresciuta in un ambiente molto attento a trasmettermi un'immagine reale del mondo e mi ha munita di senso critico. E' lo stesso per altre mie coetanee? Sarà lo stesso per le future ventenni? Non credo.
La seconda amara considerazione riguarda un ulteriore grado d'ipocrisia: quello di chi difende l'infanzia ed in particolare l'infanzia delle bambine. Trucchi, abiti attillati e modellati sul

lo stile teen, accessori, programmi di bellezza dedicati non sembrano puntare ad una valorizzazione dell'infanzia, quanto piuttosto alla creazione di quel modello di ninfetta di cui sopra. Attraenti, sexy, aggressive. Sono aggettivi adatti all'infanzia? Che fine fanno le piccole Lolite?
Bene io penso che a noi ragazze spetti l'ennesimo duro compito: combattere una battaglia di civiltà. Rifiutiamoci di accettare che certi marchi di moda impongano standard incompatibili con la normalità. Rifiutiamoci di essere messe nella condizione di sentirci diverse, grasse, strane, solo perché abbiamo le forme di una donna e non di una bambina. Difendiamo il diritto di queste bambine ad essere tali e smettiamola di accondiscendere a modelli che potrebbero, ad uno sguardo ipercritico, essere tacciati di istigazione alla pedofilia.
Anche l'acquisto di un capo d'abbigliamento può essere responsabile: chi pubblicizza la propria merce attraverso modelli sbagliati non dovrebbe ricevere nemmeno un centesimo dalle nostre tasche. Riappropriamoci delle nostre taglie, quelle vere, e smettiamola di giocare al martirio inseguendo attraverso privazioni e sacrifici il fisico di una dodicenne. E' la responsabilità dell'essere adulte: ci sono anche tanti benefici, che vanno ben al di là di una taglia 38.

martedì 10 maggio 2011

Grassroots Internet Revolution

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Sì, è vero, c'è gente convinta che la cosa chiamata internet sia un luogo brutto e puzzolente, dal quale nulla di buono può venire. Noi la pensiamo diversamente ed è per questo che, d'ora in poi, la redazione di Soft Revolution vi proporrà settimanalmente una piccola selezione di post, video o altri contenuti reperiti online che, dal nostro umile punto di vista, sono degni d'attenzione.
Il titolo della nuova rubrica, come avrete intuito, è Grassroots Internet Revolution.


- I Miss Amy Winehouse di Dvora Meyers (su Jezebel). Ovvero: AW come antitesi dello stereotipo della donna ebrea per bene che vorreste proprio sposare. Inoltre: come i sensi di colpa instillati dalla prima grande religione monoteista si riflettono sui testi della Nostra.

- Revenge of the Feminerd: Bluestockings, the Original Feminerds su Bitch Media. Prima delle suffragette e del nostro rimuginare sulla rappresentazione delle ragazze nerd nei film e nelle serie tv che ci nutrono, c'erano le donne della Blue Stockings Society.

- Filling the Gaps su Feministe. Della differenza tra attivismo e spalar merda sugli altri. Molta saggezza e spunti sui quali riflettere e dei quali vi invitiamo a  discutere con le vostre amichette e i vostri amichetti.

- The Social Construction of the Mothering Instinct. Lisa Wade di Sociological Images ci invita a celebrare la Festa della Mamma di domenica scorsa con una riflessione sulla naturalità (ma anche no) dell'"istinto materno", così come viene rappresentato nella nostra società.

- Why Meg White Matters su AV Club. Un post che volevamo segnalare da tempo e che risale più o meno allo scioglimento dei White Stripes. Da spalmare in faccia a chi se ne va ancora in giro sostenendo l'incompetenza di Meg White alla batteria.

giovedì 5 maggio 2011

Ho fatto le elementari del libro "Cuore", V puntata

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Si dice che per tenere alta l'attenzione nel corso di un film, di un romanzo o di uno sceneggiato, gli autori debbano, di necessità, inserire scene di nudo, di sesso, d'amore o almeno qualcosa di un pò pruriginoso. Non essendo tanto colta e d'essay da potermi sottrarre a questa dura legge è giunto il momento di raccontare le verità più scabrose di una terza elementare di provincia.
Come potete immaginare i temi amorosi non erano particolarmente apprezzati nella mia scuola, meno che mai dalla mia maestra, che risultava essere una delle più severe assertrici della non promiscuità in classe. Se fosse stato per lei, molto probabilmente, saremmo stati ancora suddivisi rigidamente: maschi da una parte, femmine dall'altra. La castità e la purezza erano valori predicati sottilmente ma in maniera costante, ad incominciare dalla scelta dei "fiori" che dovevano rappresentare, durante le gare di matematica (su questo triste tema tornerò in un altro post), i tre gruppi in cui era suddivisa la classe. Al momento della scelta la priorità era stata data ai gigli (per ovvie ragioni), alle violette (perché timide e pudiche nel loro sbocciare solo nell'ombra) e le rose (in chiave dichiaratamente mariana). Io avevo proposto i girasoli. Mi parevano belli, da piccola li adoravo: grandi, coloratissimi e con tutti quei petali erano un tripudio per gli occhi e per gli amanti del giallo. Ricordo ancora che mi era stato risposto che il girasole era un fiore chiassone e grezzo; non ho mai controllato la definizione di girasole su di un libro di botanica, ma immagino che non troverei nulla del genere. Ma questo era solamente un assaggio, il meglio doveva ancora venire e sarebbe giunto, in terza elementare, al rientro da un'intervallo post mensa, segnando per sempre le coscienze di noi pargoli.
Da bravo maschiaccio avevo trascorso l'intervallo in cortile, probabilmente a cimentarmi nella costruzione di qualche complicata architettura a base di legnetti, e non mi ero accorta che, appena dietro alla siepe che divideva il cortile dal capanno degli attrezzi da giardinaggio, un mio compagno di classe e una mia compagna, al tempo terribili ottenni, si erano scambiati un bacio a stampo sulla bocca.
A me era sfuggito, ma non era sfuggito all'occhio vigile della suora di guardia, che aveva riferito tutto con puntualità alla maestra. Eccoci dunque rientrare in classe al suono della campanella, ci sediamo nei banchi e i due bambini, che chiamerò con nomi fittizi, per una finta pruderie da privacy, Nicodemo e Clotilde, vengono chiamati a fianco della cattedra.
Nel giro di pochi minuti avviene l'irreparabile: smascherati davanti alla classe, pubblicamente sgridati, scherniti dalla componente maschile (sempre pronta ad un bel "che schifo, hai baciato una femmina"), umiliati insomma, Clotilde e Nicodemo scoppiano a piangere. Clotilde in particolare viene mortificata per il suo comportamento sconveniente e stigmatizzata quale novella Maddalena.

Ovviamente ripensandoci oggi tutta la scena mi appare soltanto grottesca, ma al tempo restammo talmente traumatizzati dalla terribile reazione punitiva, da non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi di avvicinarci ad un essere dell'altro sesso prima della maggiore età. Giurin giurello (bisognerà aspettare addirittura le medie per avere i racconti più imbarazzanti sui pomeriggi passati a giocare a una "bottiglia" edulcorata, e adatta a evitare i sensi di colpa da divina punizione, nel cortile della parrocchia).
L'apice però venne raggiunto durante una lezione edificante sulla vita di Maria Goretti.
Ricordo distintamente il modo del tutto positivo, con tinte da poema epico, con il quale ci venne presentata la mesta fine della fanciulla. Piuttosto che cedere alla violenza carnale, la ragazza si era votata alla morte. Il sesso è qualcosa di talmente sporco ed infamante che... piuttosto la morte! Nella mia testolina però qualcosa aveva già fatto cortocircuito rispetto agli insegnamenti inculcati: trovai la fine della povera Maria Goretti alquanto stupida, come avrei trovato terribile e assolutamente egoistico il martirio di Gianna Beretta Molla, ma di questo parlerò nella prossima puntata, tutta dedicata al "come terrorizzare i bambini con virtuosi esempi" e all' "abbigliamento provocante e trasgressivo di una settenne". Stay tuned.

lunedì 2 maggio 2011

Io contro natura? Tu controsenso - Omosessuali e omofobici nell'Italia dello scontento

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«La vita sessuale degli altri mi ha fatto sempre vergognare
della mia: il male è dunque tutto dalla mia parte? »

Pier Paolo Pasolini (1922-1975),
uno dei maggiori intellettuali italiani
del secolo scorso,omosessuale.




Partendo dal principio. Che cosa significa “omofobia”? Mi fa sorridere una nota rinvenuta su Facebook che titola “Omofobia??? Mi dispiace ma nel mio dizionario questa parola non esiste”; in effetti, nei dizionari che ho a casa, questa parola non compare. Ciononostante, il suo significato mi è tutt’altro che oscuro.
Si parla di omofobia quando si vuole indicare l’atteggiamento di irrazionale avversione espresso ai danni di persone omosessuali o dell’omosessualità in generale. Il suffisso fobia, tipico delle patologie, non deve però trarre in inganno: il termine omofobia non viene usato con un’accezione clinica, quanto piuttosto in un senso più generico, un po’ come per “xenofobia”.
Sull’uso del termine, sui suoi omologhi (“pregiudizio sessuale”,“omoerotofobia” ed altri) si sono concentrati molti studiosi. Ciò che emerge dai diversi punti di vista è (in brevissimo) che l’omofobia coinvolge più spesso il sentimento di disapprovazione legato alla morale personale – con la possibilità di sfociare in aperto “disgusto”, nei casi peggiori – piuttosto che non quello della paura vera e propria. L’intolleranza nei confronti dell’omosessuale è legata spesso al timore di chi omosessuale non è, di sembrarlo ed è provato come essa sia sentita più frequentemente da uomini (spaventati all’idea di essere considerati “effeminati”) che da donne (il cui rischio, opposto, è quello di venir etichettate come “maschiacci”); come la “questione di genere” ci insegna, il sesso debole è quello femminile ed è per questo che i maschi possono sentirsi a disagio (per usare un eufemismo) nel sentirsi in tal modo etichettati (o etichettabili).
E in Italia? Esiste l’omofobia? Qual è l’atteggiamento degli italiani di fronte a persone LGBT? Vorrei potermi sentire più sicura nel dire che il nostro paese ben accoglie gli orientamenti sessuali non strettamente etero, ma purtroppo non è così. Certo, l’Italia soffre di omofobia meno di altri paesi (Romania, ad esempio: stando ad un report dell’Istituto Danese per i Diritti Umani, questo paese al 2008 era quello con la percentuale più alta di percezione di disagio rispetto all’avere un vicino di casa omosessuale) ma è comunque al di sotto dei livelli di accettazione medi dell’UE. L’influenza della Chiesa Cattolica, in tal senso non ci aiuta: il Vaticano mostra da sempre grandi difficoltà nell’affrontare il tema dell’unione di uomini e donne gay. Benedetto XVI nel suo libro “Luce del mondo” (2010) ricorda l’importanza del rispetto nei confronti di queste persone ma ribadisce, al tempo stesso, come l’omosessualità sia contro natura e mai giusta. A rincarare la dose (casomai servisse) ci pensa il cardinal Bertone, segretario di stato Vaticano, che in un intervento in Cile provò a spiegare la questione della pedofilia (tema che lo scorso anno risultò particolarmente infuocato a causa delle denunce che coinvolsero numerosi sacerdoti) escludendo che questa potesse essere legata al celibato cui i preti cattolici fanno voto, quanto più probabilmente connessa con l’omosessualità. O ancora, Monsignor Rigon, vicario della diocesi di Genova, che lo scorso febbraio ha dichiarato che l’omosessualità si può curare con la psicoterapia (se “presa” in tempo), poiché essa non è altro che una patologia indotta (non si nasce infatti omosessuali, a meno che non siano coinvolte delle “disfunzioni ormonali o fisiche” – questa la sua opinione). Tutto ciò ricorda molto Povia. Già.
Se rivolgiamo lo sguardo alla politica del nostro paese, non occorre andare troppo indietro nel tempo per accorgersi che anche in questo campo c’è qualche problema riguardo quest’argomento.
Aprile 2011. Con ordine.
4 aprile.
Roberto de Mattei, vicepresidente del Consiglio Nazionale per le Ricerche (CNR), nonché docente di Storia del cristianesimo e della Chiesa presso la privata Università Europea di Roma e fervente membro del Pdl, afferma a Radio Maria che la caduta di Roma imperiale fu dovuta al “contagio” dei pochi omosessuali cartaginesi; costoro sono definiti da De Mattei come “invertiti” la cui “abominevole presenza infettò un bel po’ di gente”. Cita Salviano di Marsiglia, ma poco importa. Lo cita non per confutarlo, ma per perorarne le tesi.
In altre occasioni lo stesso De Mattei si era scagliato contro il femminismo, ritenendolo responsabile dell’avvento dell’omosessualismo, dell’androginia e dell’ermafroditismo. Un climax ascendente, che trovava il suo apex nelle seguenti parole: “ L’Europa è un inesorabile ermafrodito”. De Mattei è, per intenderci, colui che ha definito lo tsunami giapponese dello scorso 11 marzo una “voce terribile ma paterna della bontà di dio”.
16 aprile.
Roma, convegno dei nuovi organismi di sostegno del Pdl (organizza Michela Vittoria Brambilla). Durante lo speech del nostro premier, un adulatore gli grida “sei bello”, offrendogli su di un piatto d’argento la possibilità di snocciolare l’ennesima testosteronica battuta: sostenendo che costui che ha urlato ha dato voce al suo 25% di omosessualità (quarto che tutti noi possediamo, ipse dixit) Berlusconi rassicura la platea sul fatto che il suo personale 25% è lesbico (un approfondito esame l’ha confermato). Scroscio di applausi.
Rewind. Novembre scorso (mentre altri ricordavano il 35simo della morte di Pasolini): al salone del ciclo e motociclo di Milano, Berlusconi dichiara che è “meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”. L’effetto “applauso smodato” arriva con un po’ di ritardo, questa volta. A difendere poi il premier dalle critiche che gli sono piovute addosso dopo questa uscita ci pensa Vittorio Sgarbi, il quale dichiara a Libero che la frase del premier “non è offensiva” e che “nel mondo mussulmano, ebraico e cristiano, l’omosessualità non è una virtù”. Guzzanti (Paolo, uscito dal Pdl nel 2009) dice che la frase di Berlusconi è un messaggio preciso ai suoi elettori, parafrasandolo in “meglio puttaniere che frocio”.
20 aprile.
Il deputato del PD, Paola Concia, dichiaratamente omosessuale, viene aggredito fuori da Montecitorio mentre si reca alla macchina con la sua compagna. Le viene urlato contro “lesbica di merda, vi dovevano bruciare nei forni”. Molti esponenti politici hanno espresso solidarietà alla Concia e alla sua compagna e condannato l’accaduto. Berlusconi abest.
23 aprile.
Carlo Giovanardi, sottosegretario alla famiglia, protesta contro la pubblicità dell’Ikea che mostrando l’immagine di due uomini mano nella mano, lancia lo slogan “siamo aperti a tutte le famiglie”. Bufera. Secondo il sottosegretario, la parola famiglia in quel contesto sarebbe del tutto fuori luogo, o meglio incostituzionale. L’unione sancita dal matrimonio (tra uomo e donna, quindi) e garantita dalla Costituzione Italiana all’articolo 29, andrebbe difesa dall’operato di certe lobby che parrebbero (si salvi chi può!) volerla parificare a qualsiasi altra forma di convivenza.
Lo stesso Giovanardi avrebbe espresso vicinanza al deputato Concia per l’accaduto citato al punto precedente, sollecitando una riflessione sulla violenza “che riempie la cronaca di efferati delitti” e va a colpire “soprattutto le donne, sia nei rapporti etero che in quelli omosessuali”; a suo parere è quindi arrivato il momento di affrontare l’ “oscuro demone che fa vedere negli altri non persone da rispettare nella loro dignita' ed autonomia, ma oggetti da poter impunemente offendere”. Non si possono che condividere, certe parole; il rammarico è semmai relativo al fatto che un pensiero simile non sia sorretto da un’altrettanto lodevole comportamento e capacità di relazione. Sbaglio o era stato proprio Giovanardi a sostenere che nei paesi che concedono l’adozione anche alle coppie gay si è ingenerata una vera a propria ‘compravendita’ di bambini? Eccolo qua il suo rispetto della dignità e dell’autonomia.
E questo era il mese di aprile. Tra gli archivi del passato, troviamo altri interventi offensivi, tra cui quello del deputato Pdl Giancarlo Lehner che ironizzava sul sostegno dei cittadini gay agli operai della FIAT lo scorso gennaio (i gay sarebbero dalla parte degli operai, ma quale? Davanti, di dietro o di lato?) o quello del consigliere della provincia di Padova, il leghista Pietro Giovannoni, che definì gli omosessuali maschi come “culattoni” mentre in aula si discuteva della mozione contro l’ omofobia (l’uso del termine poc’anzi virgolettato è peraltro inflazionato tra i membri del Carroccio: prima del consigliere provinciale già Gentilini e Bossi lo avevano utilizzato in pubblico): quando gli è stato fatto notare che il termine che aveva usato non era ammissibile, la sua scusante è stata quella del “io parlo spesso a braccio, e negli interventi me piase dir qualche parola in veneto, ecco”. Già, peccato però che non eri alla sagra della bondola a parlare di pan e sopressa (massimo rispetto alla sagra in questione, comunque).


Volendo analizzare l’escalation di questo mese ormai giunto alla fine si può rilevare come, laddove non si possa parlare di omofobia in stretto senso discriminatorio-ingiurioso (aggressione ai danni della Concia), è il caso allora di parlare di becera mancanza di rispetto (Berlusconi), di mentalità retrograda, tendenzialmente omofoba su un piano però pregiudiziale (De Mattei) e incapacità di svolgere il proprio ruolo istituzionale sostituendolo piuttosto con ampia capacità di perdersi in questioni insussistenti, sintetizzabile in ipocrisia (Giovanardi).
Che dire? Il clericalismo di De Mattei ormai turba i sogni di molti (gli stessi molti – compresa la sottoscritta – che vorrebbero le sue dimissioni da vicepresidente del CNR domattina sulla scrivania di Maiani, l’attuale presidente) e le sue ultime perle sulla caduta di Roma fanno ridere - se non piangere. Forse quando al catechismo insegnavano che è importante amare il Prossimo lui era a casa con la febbre.
Berlusconi continua imperterrito a fomentare questo clima da “buttiamola in vacca” (perdonate il francesismo, ma volevo mantenere il livello di spontaneità cui costui ci sta abituando) e “scherziamoci sopra”, ben felice di sentire i suoi sostenitori sgomitare e spellarsi le mani nel mostrare il loro pieno apprezzamento verso cotale umorismo. Nei casi sopracitati, s’è visto come nemmeno gli omosessuali vengano risparmiati dalle sue continue frecciate. Si sa che quando tra perbenisti si parla di persone LGBT, non si pensa mai all’Amore, ma sempre al sesso; e quando ciò diventa argomento di conversazione, beh, Berlusconi sfodera il suo peggio (temo non la smetterà mai di ribadire che lui è uno che lo mette e non uno che lo prende).
Giovanardi mostra di avere molto tempo libero da dedicare ai dettagli inutili invece di dedicarsi alle mansioni per cui è stato nominato sottosegretario. La sua crociata per la difesa dell’articolo 29 della Costituzione (ovvero La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.”) ha mostrato qualche falla nel momento in cui s’è scagliato contro l’Ikea per quella pubblicità. A nulla è valso l’intervento del responsabile delle relazioni esterne per l’Italia della multinazionale svedese, Valerio Di Bussolo, che molto serenamente ha risposto alla critica di Giovanardi spiegando che quella indicata all’articolo 29 è una tipologia di famiglia (quella di due persone sposate), mentre loro intendevano rivolgersi alle molte altre realtà familiari che attualmente esistono (famiglie formate dai nonni, coppie di fatto, eccetera). Si tratta di uno spot, per l’amor di dio! Discutiamo piuttosto delle pubblicità televisive che mostrano genitori tremendamente ansiosi di avere figli solo per avere la scusa buona per potersi comprare l’ultima station wagon vomitata sul mercato!

L’episodio che ha visto coinvolta la Concia è indice del livello di barbarie in cui una fetta di Italia sta ricadendo. L’aspetto più agghiacciante dell’accaduto è che lei non stava facendo nulla di male, semplicemente stava andando a prendere la macchina per andare ad un concerto. La cosa più normale del mondo, poi arriva un troglodita ed inizia ad insultare lei e la compagna, colpevoli di essere lì mano nella mano (come i protagonisti dello spot Ikea contro cui s'è scagliato Giovanardi). L’aggressione da verbale stava diventando fisica, ha raccontato il deputato, ma fortunatamente poi ciò non si è verificato. C’è da dire che mentre si verificava quest’aggressione alcune persone si trovavano nei paraggi ed hanno assistito alla scena, tuttavia senza intervenire, anzi (peggio e ancora più incomprensibile) rimproverando alla Concia un certo atteggiamento. Speriamo solo che lei (già fattasi promotrice nel 2009 di un testo di legge sull’Omofobia – poi bocciato su pregiudiziale di incostituzionalità – che prevedeva l’aggiunta, tra le aggravanti dell’articolo 61 del codice penale, di quella per l’orientamento sessuale), che lei, insomma, non smetta di battersi per i diritti delle persone LGBT perché fatti del genere accadono spesso (solo, non vengono sistematicamente denunciati) e c’è il rischio - come altri hanno osservato a pochi giorni dall’accaduto - che la partecipazione (già scarsa) a tali iniziative di supporto vada riducendosi ulteriormente, se non morendo (nel caso più estremo).
Segnalo, a proposito di partecipazione, la giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia il prossimo 17 MAGGIO, per chi fosse interessato.

E per una boccata d’aria, almeno alla fine, ritorno con Pasolini.
Di seguito, una sua intervista ad Ungaretti estratta da “Comizi d’amore” (1963-64), un documentario-film inchiesta in cui vengono investigate le opinioni degli italiani in merito all’amore e alla sessualità. Operai, studenti, contadini, persone comuni ma anche personaggi noti vengono da lui (che pure dirige) interpellati. E questo è il contributo di Ungaretti, il poeta. Le riflessioni in merito a ciò che viene detto le lascio a voi.
 
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