Ammetto di essere molto delusa da questa deriva, poiché un tempo trovavo conforto guardando alcuni dei programmi che Mtv proponeva. Non sto parlando solo di Daria, che è quanto di più sacro Mtv ci abbia mai donato, ma anche delle prime stagioni di Made, di Avere Vent'anni, di Jackass e del Brand:New pre moltiplicazione dei canali e successiva soppressione di quello che portava questo nome. Ricordo poi di aver intravisto un paio di puntate di uno show condotto da Andrew WK che, se la memoria non m'inganna, si ergeva trionfante sul labile confine tra completa idiozia e pura genialità.
Oggi è raro che un programma di Mtv metta in moto il mio cervello, mi spinga a provare cose nuove e mi conforti circa il mio permanere nello stato di Caso Umano. Al contrario, è facile che un programma di Mtv intacchi gli angoli oscuri della mia testa e mi suggerisca pensieri cattivi, come “Ti vesti da culo”, “A 23 anni non sei ancora capace di truccarti” e “Se vuoi quel contratto editoriale devi vestirti da donna adulta, cioè devi indossare un abito striminzito, metterti delle scarpe tacco 12 e farti la messa in piega che tutte le ragazzette che vanno al prom si fanno”. (Ci tengo a precisare che l'ultimo consiglio è contenuto in una puntata del programma Plain Jane; non l'ho inventato).
Molto spesso questi programmi sono universalmente deprecabili, nel senso che è molto difficile trovarvi degli aspetti positivi o per lo meno problematici da criticare. Esistono però anche altri tipi di programmi; quelli che si reggono come equilibristi sull'oceano delle potenziali critiche, uscendone però vincenti.
A colpirmi recentemente è stato proprio un programma che dal mio punto di vista rientra con agilità nella seconda categoria: I Used to Be Fat .
I Used to Be Fat è uno esempio di reality show semi-impegnato in cui una studentessa o uno studente universalmente riconosciuti come grassi decidono di dedicare qualche mese della loro vita (tre o quattro, da quanto ho visto finora) al dimagrimento intensivo. Nel compiere questa impresa i protagonisti di ciascuna puntata vengono aiutati e seguiti da un personal trainer, che tendenzialmente funge anche da pseudo-terapeuta o da buddy.
Il bello di I Used to Be Fat è che, come anticipavo sopra, ha tendenzialmente ottenuto buone recensioni ed è andato definendosi come un programma che aiuta le persone ad aiutarsi da sole. Detta così, sembrerebbe non esserci nulla di male. Anzi, saremmo forse delle stronzette se pensassimo il contrario.
La faccenda diventa però problematica quando decidiamo di entrare nel dettaglio, di analizzare non solo gli obiettivi generali del programma e la gioia che vediamo sui volti delle persone che sono riuscite a perdere quaranta chili di tre mesi, ma anche tutto ciò che c'è nel mezzo.
Prendiamo ad esempio la seconda puntata, nella quale Marci, una studentessa in procinto di cominciare l'università, dichiara di farsi schifo e di avere come principale obiettivo nella vita quello di entrare negli eleganti vestiti esposti in un negozio dove non hanno la sua taglia.
Sforziamoci di guardare oltre l'idea socialmente condivisa e sedimentata che le persone grasse siano orribili e che il loro compito sia quello di sforzarsi per rientrare nei canoni di ciò che è bello, ovvero della magrezza.
Ascoltiamo cosa viene effettivamente detto.
Marci |
"Venere al bagno" di Pieter Rubens, 1612-1615 circa |
Eppure credo che trattare un tema così complesso e delicato con tale leggerezza – la stessa leggerezza dei programmi che rispondono a gravi disagi personali con un nuovo taglio di capelli o con un intervento di chirurgia estetica – faccia un grande torto agli spettatori del programma di cui stiamo parlando.
Ho già accennato alla presentazione di un modello univoco di femminilità. Esso è parente stretto di un'idea statica di bellezza, totalmente slegata dalla storia del concetto stesso, le cui tracce sono riscontrabili in moltissime opere d'arte che ritraggono donne con la cellulite e i fianchi larghi, archetipi di un'idea di bellezza che cozza sonoramente con quella che domina la nostra società odierna.
A tal proposito, ritengo interessante il caso di Gabriella, la protagonista della prima puntata di I Used to Be Fat. Nella presentazione che ce la fa conoscere all'inizio del programma scopriamo che Gabriella è molto brava a scuola e popolare tra i suoi compagni. E' persino stata eletta reginetta della scuola durante il suo senior year. Ciononostante si sente brutta e tende a mangiare in modo compulsivo. Dichiara inoltre, come farà Marci nella seconda puntata, di aver cominciato a sentirsi brutta e inadeguata durante le scuole elementari, quando veniva chiamata “grassa” da alcuni dei suoi compagni. Guardando delle foto dell'epoca però non posso fare a meno di notare come né Gabriella né Marci fossero particolarmente sovrappeso.
Da come viene presentata la loro storia, sembra che lo stigma imposto sui loro corpi dai compagni di classe – quello di persona grassa – sia progressivamente divenuto realtà. Il problema non è dunque circoscrivibile al corpo di queste ragazze, che per anni sono state prese in giro al punto da non uscire quasi più di casa (come nel caso di Marci) o dal sentirsi costrette a fingere di stare bene, pur covando della sofferenza inespressa (come nel caso di Gabriella). Il fatto di intervenire su di loro aiutandole a perdere quaranta chili in tre mesi risolverà forse una parte dei loro problemi, come quello di entrare nei vestiti desiderati, ma non interverrà sull'idea rigida e monodimensionale di bellezza con la quale tutti noi dobbiamo confrontarci. Non aiuterà a mutare l'immaginario condiviso, a leggittimare qualsiasi tipo di immagine corporea e a prevenire il disagio provato dai bambini e dalle bambine costretti a misurarsi con modelli costruiti con Photoshop. In poche parole, non eviterà alle piccole Marci e Gabriella di oggi di essere umiliate dai compagni e non fornirà loro gli strumenti critici per affrontare le prese in giro e tutto ciò che ci sta dietro.
A tal proposito, concludo segnalando un bel post di Tasha Fierce dal titolo Body Love and Fatness as Choice, che introduce il pressoché inesplorato tema della scelta di una forma corporea sanzionata socialmente, che fa parte dell'altrettanto consigliata serie di post di Bitch Media che porta il titolo di Sex and the Fat Girl.
1 commento:
http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2009/10/19/pretendi-di-piu/
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