Si dice che per tenere alta l'attenzione nel corso di un film, di un romanzo o di uno sceneggiato, gli autori debbano, di necessità, inserire scene di nudo, di sesso, d'amore o almeno qualcosa di un pò pruriginoso. Non essendo tanto colta e d'essay da potermi sottrarre a questa dura legge è giunto il momento di raccontare le verità più scabrose di una terza elementare di provincia.
Come potete immaginare i temi amorosi non erano particolarmente apprezzati nella mia scuola, meno che mai dalla mia maestra, che risultava essere una delle più severe assertrici della non promiscuità in classe. Se fosse stato per lei, molto probabilmente, saremmo stati ancora suddivisi rigidamente: maschi da una parte, femmine dall'altra. La castità e la purezza erano valori predicati sottilmente ma in maniera costante, ad incominciare dalla scelta dei "fiori" che dovevano rappresentare, durante le gare di matematica (su questo triste tema tornerò in un altro post), i tre gruppi in cui era suddivisa la classe. Al momento della scelta la priorità era stata data ai gigli (per ovvie ragioni), alle violette (perché timide e pudiche nel loro sbocciare solo nell'ombra) e le rose (in chiave dichiaratamente mariana). Io avevo proposto i girasoli. Mi parevano belli, da piccola li adoravo: grandi, coloratissimi e con tutti quei petali erano un tripudio per gli occhi e per gli amanti del giallo. Ricordo ancora che mi era stato risposto che il girasole era un fiore chiassone e grezzo; non ho mai controllato la definizione di girasole su di un libro di botanica, ma immagino che non troverei nulla del genere. Ma questo era solamente un assaggio, il meglio doveva ancora venire e sarebbe giunto, in terza elementare, al rientro da un'intervallo post mensa, segnando per sempre le coscienze di noi pargoli.
Da bravo maschiaccio avevo trascorso l'intervallo in cortile, probabilmente a cimentarmi nella costruzione di qualche complicata architettura a base di legnetti, e non mi ero accorta che, appena dietro alla siepe che divideva il cortile dal capanno degli attrezzi da giardinaggio, un mio compagno di classe e una mia compagna, al tempo terribili ottenni, si erano scambiati un bacio a stampo sulla bocca.
A me era sfuggito, ma non era sfuggito all'occhio vigile della suora di guardia, che aveva riferito tutto con puntualità alla maestra. Eccoci dunque rientrare in classe al suono della campanella, ci sediamo nei banchi e i due bambini, che chiamerò con nomi fittizi, per una finta pruderie da privacy, Nicodemo e Clotilde, vengono chiamati a fianco della cattedra.
Nel giro di pochi minuti avviene l'irreparabile: smascherati davanti alla classe, pubblicamente sgridati, scherniti dalla componente maschile (sempre pronta ad un bel "che schifo, hai baciato una femmina"), umiliati insomma, Clotilde e Nicodemo scoppiano a piangere. Clotilde in particolare viene mortificata per il suo comportamento sconveniente e stigmatizzata quale novella Maddalena.
Ovviamente ripensandoci oggi tutta la scena mi appare soltanto grottesca, ma al tempo restammo talmente traumatizzati dalla terribile reazione punitiva, da non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi di avvicinarci ad un essere dell'altro sesso prima della maggiore età. Giurin giurello (bisognerà aspettare addirittura le medie per avere i racconti più imbarazzanti sui pomeriggi passati a giocare a una "bottiglia" edulcorata, e adatta a evitare i sensi di colpa da divina punizione, nel cortile della parrocchia).
L'apice però venne raggiunto durante una lezione edificante sulla vita di Maria Goretti.
Ricordo distintamente il modo del tutto positivo, con tinte da poema epico, con il quale ci venne presentata la mesta fine della fanciulla. Piuttosto che cedere alla violenza carnale, la ragazza si era votata alla morte. Il sesso è qualcosa di talmente sporco ed infamante che... piuttosto la morte! Nella mia testolina però qualcosa aveva già fatto cortocircuito rispetto agli insegnamenti inculcati: trovai la fine della povera Maria Goretti alquanto stupida, come avrei trovato terribile e assolutamente egoistico il martirio di Gianna Beretta Molla, ma di questo parlerò nella prossima puntata, tutta dedicata al "come terrorizzare i bambini con virtuosi esempi" e all' "abbigliamento provocante e trasgressivo di una settenne". Stay tuned.
4 commenti:
anch'io ho impiegato anni per superare il senso vergogna instillatomi dalle suore. a volte mi verrebbe voglia di fare causa alla chiesa cattolica per aver incasinato così tanto la mia vita sessuale...
tra l'altro è pazzesco che si ostinino a presentare come modelli di vita delle martiri di cui spesso si hanno notizie di quinta mano...
nella mia infanzia anarchica ed ebrea santa maria goretti veniva citata spesso e volentieri da mia madre come esempio di tutto quello che c'è di sbagliato nel mondo.
non credo di aver mai avuto a che fare con una suora in vita mia, e solo ora mi rendo conto di quanto privilegiata fosse la mia posizione...
Eh si. Guarda questa è la punta di un iceberg di repressione e senso di colpa immenso, di cui spero di scrivere a breve. La cosa orrida è che non erano "imposizioni" contro le quali potevi scagliarti, ma più subdolamente erano una sorta di messaggio costante e di fondo che alla fine t'inculcava precetti assurdi di castità e purezza.
Forse eccessivamente radicale, oserei uno "sbagliato" nell'ottica di chi resta, soprattutto dei figli, ma "egoistico" il gesto della Molla non direi proprio.
Sul resto posso concordare...pur non avendo vissuto un simile lavaggio del cervello nemmeno frequentando la mia parrocchia con assiduità.
La Blanche
Posta un commento