martedì 22 febbraio 2011

Trieste-Londra, andata e ritorno


Questo libro è un libro strano.
Quando è arrivato fra le mie mani, accompagnato dalla dedica di una carissima amica, ho pensato che sarebbe stato uno dei classici romanzi che "leggi tutto d'un fiato". Poche pagine, dedicato ad un personaggio della storia della letteratura italiana che amo molto (o almeno così sembrava dalla quarta di copertina), ottimamente recensito a suo tempo da nientemeno che Calvino. Insomma, sembrava che tutto puntasse al colpo di fulmine, ma non è stato così. Fin dalle prime pagine la scrittura di Del Giudice mi è apparsa ostica. Mi pareva troppo scientifica, troppo matematica, un incrocio fra Gadda e il Primo Levi meno conosciuto, poi ho capito: era semplicemente molto mitteleuropeo. Cercavo di pagina in pagina qualcosa di più concreto sulla vicenda di Bobi Bazlen (l'autore a cui il romanzo doveva, nella mia mente in un certo modo ben definito, essere dedicato) e non trovavo nulla. Soltanto scorci momentanei dati dallo sfiorare la vita di qualcuno che gli era stato prossimo. Piccole schegge di qualcosa che non si riesce a ricostruire. E intanto il libro si dipanava: sullo sfondo una Trieste che mai mi è apparsa così ben rappresentata, con alcune frasi che mi sono rimaste infisse nella mente "Trieste è come Nizza, solo che c'è il vento". Ogni volta che aprivo una pagina mi sembrava davvero di camminare a fianco del protagonista, attraverso il lungomare triestino, nelle strade in salita, nei piccoli caffè, ma non ero trascinata e nemmeno rapita. Questo libro non ti lascia lo spazio per un'eccessiva immedesimazione. Sei lì con il protagonista, ma non sei il protagonista. Come in quei film bellissimi durante i quali non riesci ad essere catturato dalla finzione della vicenda "reale", non riesci a perdere te stesso nella narrazione, ma ti senti spettatore privilegiato di un momento di pura arte. Il mio io "critico" non è venuto mai meno durante la lettura e forse per questo, per il continuo stimolo, per la percezione dei tanti riferimenti letterari, assolutamente non ostentati, ma anzi impliciti e proprio per questo di maggior soddisfazione quando si svelano, ho amato moltissimo questo testo.
Non mi è stata data alcuna informazione di più sulle vicende di Bobi Bazlen, ma mi è stato dato Bobi Bazlen. Incredibili le due pagine dedicate al volo dall'Italia a Londra: un piccolo capolavoro dove la narrazione urbana contemporanea di matrice modernista, da Doblin in poi, si dispiega in tutta la sua potenza: una lunga sequenza di coordinate aeree che ci accompagna, sicuri come su un volo di linea, su rotte mille volte battute dai piloti. Allo stesso modo emerge Londra: non sono il protagonista che vi arriva, ma vedo la valigia che scorre sul rullo in aeroporto, sono il taxi che scivola lungo le strade, percepisco l'umido dei mattoni a vista delle basse casette medioborghesi della prima periferia londinese. Non mi cattura, mi conduce, con una grazia che si fa apprezzare in una lettura lenta e accompagnata da larghe pause.
Un libro che va assaporato e gustato, come se si trattasse di un vino invecchiato, non da chi ha molta sete, ma da chi ha voglia di assaggiare qualcosa di veramente buono.
Penso che questo, fra molti anni, potrà essere annoverato fra i classici della letteratura del secondo Novecento. E se mi sbaglio, mi sbaglio di poco.

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