lunedì 4 aprile 2011

EDIT festival: resoconto di un’ignorante


Sono andata per voi (non è vero, non sono andata per voi) all’EDIT festival a Marghera. Al che? E infatti! Non ne sapevo nulla nemmeno io. Il che è comprensibile, dato che è un – sottotitolo del festival – “Meeting delle Etichette Italiane di Musica Elettronica”. O forse dovrei dire IL meeting, dato che è l’unico in Italia, e siamo solo al secondo anno in cui lo fanno.
Il mio approccio alla musica elettronica è molto recente: avendo sempre ascoltato principalmente musica rock e similari, sono dolcemente passata a generi di elettronica che possono ritenersi più vicini al rock. Un esempio? I Prodigy, che mettono insieme tastieroni tamarri, schitarrate distorte e ritmi drum’n’bass, sono stati il mio primo passo in questo senso. Più in là dei Daft Punk, comincio a perdermi. Al limite, giusto un po’ di jungle, drum’n’bass e psy-trance.
Si può quindi immaginare la mia completa estraneità all’ambiente dei dj, delle discoteche e della techno napoletana (non lo sapevo, ma Napoli è un floridissimo vivaio di musicisti di questo genere). Trascinata a Marghera dal mio ragazzo, che si diletta a suonare drum machine e sintetizzatori, sono arrivata al Rivolta* da perfetta aliena, e da aliena ora vi descrivo quello che ho visto.
Siamo arrivati prestissimo per non perderci il “workshop” sulla promozione delle etichette discografiche a livello europeo. Non si può dire che la stanza straripasse di gente, e c’erano praticamente solo addetti al settore. Ospite speciale era Sandra, una ragazza di Berlino che aveva fondato una specie di associazione delle etichette di musica elettronica tetesche. Essendo lei per l’appunto tetesca, l’intervistatore, un giornalista di non ho capito bene cosa, è stato costretto a farle domande in inglese. Non è stato un particolare problema: gli spettatori sembravano capire, e lei parlava chiaramente. Il problema era che non sapeva cosa dire! Le domande erano chiaramente mirate ad estrapolare qualche segreto riguardante il perché in Teteschia la musica elettronica ha reso Berlino la capitale europea del genere, mentre in Italia le etichette annaspano e gli artisti fuggono all’estero. Sandra, candidamente, ha detto che la chiave del successo di Berlino è il tessuto sociale delle etichette, e che lei non ha fatto altro che andare in giro a feste a conoscere gente e mettere tutti insieme nella sua associazione (una onlus). Così hanno potuto e possono far valere le proprie ragioni con le istituzioni, che hanno capito che la musica è diventata la risorsa principale della zona e la favoriscono, e vissero tutti felici e contenti. Punto.
Questa semplicità ha scatenato le reazioni dei rappresentanti delle etichette nostrane, che provenivano davvero da tutta Italia: dopo un’incerta partenza in inglese con pesante accento napoletano-emiliano-veneziano-pugliese, la discussione si è rovesciata in un flusso italianissimo ed incessante di lamentele. Ma qui non funzionerebbe, le istituzioni non ci ascoltano, non appena un’etichetta diventa famosa se ne frega di tutte le altre, quelle piccole fanno la fame e devono pagare la SIAE, la nostra è la tassa sui diritti d’autore più alta del mondo, e nessuno le aiuta, qui a intascare i soldi sono sempre i soliti e non i più bravi, e via così…
Il giornalista traduceva qualcosa alla povera Sandra, che non sapendo bene come comportarsi fumava una sigaretta dopo l’altra. La parola è stata quindi affidata a uno di soundwall, la più accreditata rivista on-line di musica elettronica, che intervista molti artisti internazionali. Il fatto è che molti degli intervistati sono italiani, solo che sono fuggiti all’estero. Perché? E cosa possono fare le etichette italiane? Il ragazzo ha banalmente suggerito di puntare sulla qualità. Puntare sulla qualità? Qui la folla si è inviperita, e qualcuno ha messo sotto pressione gli ospiti ricordando che si trattava pur sempre di un workshop, non di una discussione tra amici, e che nei workshop a Berlino invece sì, che insegnavano veramente a fare qualcosa. Risultato: non si è cavato un ragno dal buco.
Una ragazza pugliese ha portato ad esempio la sua esperienza, toccando forse il nervo scoperto di tutti i presenti in sala: incurante delle difficoltà italiche, organizza un festival di musica elettronica nel Salento. Il problema? Che quando chiama grandi nomi commerciali la gente accorre a frotte, ma quando “punta sulla qualità” con i piccoli e virtuosi artisti italiani, non viene nessuno a vederli. Insomma, in Italia la gente è musicalmente ignorante. E da qui come ne esci?
La discussione si è andata quindi spegnendo, parlando un po’ di come funziona bene a Berlino e un po’ di come funziona male qui, dove la gente è ignorante e dove le istituzioni fanno tutto il contrario di ciò che bisognerebbe fare.
La (comica – e tipicamente italiana) conclusione del workshop? Di comune accordo, si è deciso che aver scritto “workshop” nel programma era stato un errore, dato che in fin dei conti nessuno aveva insegnato o imparato niente, e che sarebbe stato meglio scrivere “incontro” o “dibattito”.
Dopo questa catarsi di gruppo la gente stava visibilmente meglio, e si è alzata per andare a cenare. Io poi, che non ne potevo più delle loro pippe mentali e che non avevo neanche pranzato, stavo morendo di fame, e con immensa soddisfazione mi sono lanciata sulle melanzane alla parmigiana con contorno di peperonata della mensa del centro sociale. E’ stato bellissimo.

Dopo aver placato lo stomaco ci siamo diretti in un altro capannone, dove c’erano i banchetti delle varie etichette. Io, che dopo il worksh…ehm…dibattito non avevo un’idea ben definita di cosa facciano queste benedette “etichette”, non riuscivo a raccapezzarmici: tavolini pieni di oscuri vinili, cuffie, macchinari strani, magliette, borse, gadget, adesivi dal design tanto strafigo quanto non esplicativo. Da nessuna parte c’era scritto qualcosa del tipo “noi facciamo questo, questo e quest’altro”. Dietro i tavoli stavano gli stessi che al dibattito facevano battute simpatiche e parlavano con il cuore in mano, ma ora per la maggior parte si erano chiusi in un contegno freddo e vagamente snob… insomma, se la tiravano. Qualcuno tanto che, alla nostra domanda “che musica fate?” ci ha chiesto se, insomma, non avevamo mai sentito parlare della loro etichetta?!? Girandosi dall’altra parte e non ritenendoci degni di risposta.
Il nostro obiettivo era lasciare i demo del mio ragazzo ai rappresentanti delle etichette, che da quanto ho capito dovrebbero aiutarlo nella promozione e pubblicazione. Alla fin fine, quelli che sembravano i paladini della musica di qualità si sono dimostrati alquanto freddini (con un paio di eccezioni) o addirittura sgarbati alla proposta di sentire un possibile artista da inserire nelle loro scuderie. Certi erano addirittura reticenti nell’accettare un lavoro registrato un po’ male, dimenticando il fatto che se uno è già perfetto, perché dovrebbe chiederti aiuto e collaborazione?
Insomma, è inutile che ti lamenti che la gente è ignorante se poi non fai nulla per istruire chi vuole farsi istruire. Ed è anche inutile che ti lamenti che i musicisti scappano all’estero se tu vai in giro col paraocchi. Eh!

* nota per chi non è della zona: il Rivolta è un ex complesso industriale, convertito in centro sociale e composto da ampi spazi ricavati dai capannoni. Ospita molti concerti ed eventi vari. In particolare, una volta al mese ospita il famoso Altavoz, che porta a Marghera artisti della musica elettronica.

Nessun commento:

 
Powered by Blogger