Anche quest’anno la primavera è arrivata. Anche quest’anno il sole fa fiorire mandorli e ciliegi, sparge nell’aria tiepida i pollini e fa sbocciare sulle nostre fronti i primi brufoli sottopelle. Dopo un inverno passato a studiare nelle nostre anguste camerette alzando ogni tanto la testa per vedere solo neve, gelo e passanti intabarrati, finalmente la natura risorge e le zanzare escono in punta di piedi dal letargo. Si ricomincia ad uscire di casa, ci si sdraia sui prati a contare i petali delle margherite, si gioca a palla con gli amici e si ozia ai tavolini ricomparsi all’esterno dei bar.
Ormai la musica che ascoltavi nei mesi autunnali e invernali comincia a sciogliersi al sole come la neve sui monti: gli Arcade Fire ti fanno sentire claustrofobico come in uno di quei souvenir a forma di boccia con la neve dentro, Antony and the Johnsons cominciano a sembrarti fuori luogo e un pelo lagnosi, i Sigur Rós non parlano più al tuo cuore bensì ti fanno calare la palpebra (ed eventualmente il testicolo).
Urge quindi una colonna sonora per la primavera. Ed io, che di mestiere faccio il dio (cit.), vi voglio proporre in ordine sparso cinque album di cinque band differenti che hanno saziato la mia voglia di estate. Qui sotto descrivo brevemente la band e la storia del disco (e aggiungo in corsivo il mio commento), ma è più importante che ascoltiate ciò di cui si parla, per cui vi ho aggiunto un video per ogni mia proposta.
Sublime – 40 Oz . to Freedom (1992)
I Sublime sono stati uno dei più importanti gruppi underground californiani degli anni ’90. La band, nata nel 1988 a Long Beach, California del Sud, era formata da Eric Wilson (basso), Bud Gaugh (batteria) e dal carismatico Brad Nowell (chitarra e voce). Quest’ultimo adottò un dalmata e lo chiamò Louie, il quale diventò la mascotte del gruppo, apparendo nei loro video e gironzolando attorno al palco durante i concerti. I Sublime sono incredibilmente riusciti a fondere influenze rock, ska, reggae, punk hardcore, hip-hop e dub senza risultare sgradevoli e, anzi, fecero di questo eclettismo citazionista il loro punto forte. Dato che nonostante tutto non riuscivano a farsi scritturare da nessuna etichetta decisero di fondarne una, chiamata Skunk Records e, dopo aver girato la California per anni, concentrandosi sulle loro esibizioni dal vivo e producendo alcuni demo, registrarono il loro primo album vero e proprio, 40 Oz . to Freedom, nel 1992. Il titolo allude ai liquori di malto, solitamente venduti in bottiglie da 40 once . Il gruppo, in effetti, aveva un rapporto per così dire disinvolto con alcool e droga: sarà proprio l’eroina a portare via prematuramente (nel ’96) Brad, il cantante. Dopo la scomparsa di colui che aveva dato l’impronta principale alla loro musica, i Sublime decisero di sciogliersi.
Questa è Date Rape, il singolo che trascinò al successo i Sublime grazie all’ironico ed esilarante testo. Brad parla infatti di un "date rape", ovvero di uno stupro ai danni di una ragazza ubriacata da uno sconosciuto. Ma alla fine lo stupratore verrà ripagato con la stessa moneta. Il racconto della vicenda, di denuncia nonostante l'apparente leggerezza, è unito ad un ritmo allegro e veloce. In questa canzone non si esaurisce però la musica dei Sublime. Per questo, vi consiglio vivamente di ascoltare l’intero album, farcito di generi e citazioni. Ad un primo impatto può risultare un po’ indigesto, ma ascolto dopo ascolto non vi lascerà più. Non lasciatevi ingannare dall’aspetto poco invitante dei musicisti.
The Specials – Specials (1979)
Gli Specials si sono formati nel 1977 a Coventry (Inghilterra) con il nome di Automatics, poi cambiato in The Coventry Automatics, poi ancora in The Special AKA The Coventry Automatics e finalmente in The Special AKA, poi semplificato in The Specials. Hanno fatto parte dell’onda tutta inglese chiamata 2 Tone Ska (dal nome della principale etichetta discografica), un movimento di musicisti desiderosi di ricollegarsi alla musica giamaicana degli anni ’60. Oltre agli Specials, i più famosi erano i Selecter (con la caratteristica frontwoman Pauline Black), i Madness, i Bad Manners. Gli Specials erano forse quelli più socialmente e politicamente impegnati, in particolare contro il razzismo: oltre a condividere con gli altri gruppi ska lo stile black&white (in realtà ripreso dallo ska anni ’60, ma che simboleggiava anche l’integrazione tra neri e bianchi) gli stessi componenti erano sia neri, che bianchi. Jerry Dammers, tastierista della band, fondò l’etichetta discografica 2 Tone Records e, dopo aver registrato il singolo Gangsters (arrivando nella top 10 inglese) fece uscire nel 1979 il primo album del gruppo, chiamato per l’appunto Specials.
Anche se tutto il movimento 2 Tone Ska fa allegria, gli Specials erano a mio parere i più dotati e impegnati. Essendo l’onda di cui fanno parte essenzialmente un revival ska unito al rock (e per alcuni aspetti al punk, in particolare quello dei Clash) non aspettatevi grandissime novità, ma si tratta di musica allegra suonata bene. All’interno del cd le cover sono quattro, tra le altre la famosissima A Message To You Rudy e la simpatica Monkey Man dei Toots And The Maytals. Tra le loro canzoni originali mi piace moltissimo Gangsters, ma qui invece vi propongo una versione live e velocizzata rispetto al disco (cosa che facevano spesso dal vivo) di Do The Dog.
Gogol Bordello – Gypsy Punks: Underdog World Strike (2005)
I Gogol Bordello, capeggiati dall’insostituibile Eugene Hutz, nascono nel 1993 a New York, ma la composizione del gruppo non è certo solo a stelle e strisce. Eugene è Ucraino, e gli altri componenti provengono da Russia, Israele, Etiopia, Scozia, Ecuador, Stati Uniti. Lo stile che ne deriva è naturalmente ricco di influenze, ma improntato principalmente sulla musica gitana e sul punk: come recita il titolo del disco, infatti, il loro genere è il gypsy punk. Gli strumenti più caratteristici che usano, per farsi un’idea, sono il violino, la fisarmonica, la chitarra (distorta e non) e percussioni di ogni tipo (tamburi, tamburetti, tamburelli, strani oggetti…). I Gogol Bordello si concentrano principalmente sulle esibizioni dal vivo, durante le quali il cantante dà il meglio di sé e finalmente entrano in azione le due ragazze-tamburo-piatti che lo aiutano a fare “bordello”. Hutz, scappato da Chernobyl nell’86 e in attesa di un visto per gli Stati Uniti, ha vissuto per un anno in Italia (facendo anche il lavavetri) e ciò ha influenzato molto la carriera dell’artista. Per fare un esempio, basta ascoltare la canzone Santa Marinella, dove il testo in russo è inframmezzato da bestemmie al 100% italiane. Il nome della band (che inizialmente era Hutz and the Béla Bartòks) deriva dal nome dello scrittore ucraino Nikolaj Gogol’ e dalla parola italiana che ben conosciamo.
Anche se la mia canzone preferita dei Gogol, Wonderlust King, fa parte dell’ultimo album, questo disco è senz’altro il punto da cui partire per conoscere il gruppo. Anche se la traccia più famosa è senza dubbio Start Wearing Purple, il video che più di tutti rende l’idea di che cosa sia una loro esibizione dal vivo (che per esperienza personale vi consiglio) è questo, di Not A Crime.
Boo! – Seventies, Eighties, Nineties, Naughties (2000)
I Boo! si formano nel 1997 dall’unione di “Miss” Chris Chameleon (cantante e bassista, come gli altri due è un uomo, ma basta vederlo sul palco per capire il perché di “Miss”) e di Princess Leonie e Ampie Omo. Il cantante compone anche musiche e testi. Gli strumenti che usano sono percussioni, basso, tastiera, tromba e trombone. Caratteristica la voce del cantante, che fa spesso uso del falsetto e altre vocine. I Boo! si sono sciolti nel 2004, per poi ricomporsi nel 2010 con un nuovo album e con un nuovo batterista (che rimpiazza Princess Leonie). Anche se nel 2002 la band ha ricevuto riconoscimento in terra natale (con l’assegnazione del South Africa Music Award) il loro pubblico è principalmente sparso in giro per il mondo, in particolare Europa e Stati Uniti. Questo album contiene Champion, probabilmente l’unica canzone che ha raggiunto un minimo di notorietà in Italia.
Anche se non tutte le tracce di questo disco mi convincono (forse in questo preferisco Pynapl, più omogeneo) trasmette molta serenità e allegria, e comunque contiene Champion e Avocado Pair, le loro canzoni meglio riuscite e più famose. Siccome non sono riuscita a trovare video o esibizioni dell’epoca, ecco qui una loro esibizione del 2010 in cui potete comunque apprezzare la sgradevolezza del gruppo (solo alla vista, sia chiaro).
Shantel – Disko Partizani (2007)
Shantel è il nome d’arte di Stefan Hantel, DJ e produttore nato a Francoforte ma con origini esteuropee: i nonni materni provengono dalla Bucovina, un territorio a cavallo tra Romania e Ucraina. Comincia come DJ in Germania, organizzando serate chiamate Bucovina Club in cui mixa musica techno e musica balcanica. Con Disko Partizani si allontana dal primo tipo di musica per avvicinarsi di più al secondo: in breve quello che fa in questo album è prendere canzoni tipiche provenienti dai vari paesi dei Balcani (un esempio per tutti: Sota è una canzone tradizionale serba) e le riarrangia, rendendole attuali e mischiandole con altri generi e lingue. A differenza delle precedenti compilation, è stato registrato con la Bucovina Club Orkestar, quindi si tratta di riarrangiamenti veri e propri, non solo di remix. Anzi, a volte costruisce canzoni originali, come Disko Partizani. Il video della title track è stato girato a Istanbul.
Il disco, che descritto così non promette molto, ve lo consiglio invece caldamente, perché le rivisitazioni che Shantel fa valorizzano gli originali, invece che rovinarli, e li rendono ancora più ritmosi e gioiosi. Per intenderci, è uno di quegli album che vanno messi a tutto volume in macchina con i finestrini abbassati. Inoltre lo stile di Shantel, con quel cappellino peloso, mi ha conquistata. Ecco Disko Partizani, che riassume un po’ il lavoro dell’artista. Ogni tanto viene in Italia a fare qualche dj set, e io regolarmente me lo perdo.
Bene, spero di avervi dato qualche idea per mettere un sottofondo alle giornate di sole, e vi lascio con un video (dopo, lo giuro, non vi rompo più le scatole) dei Pixies, una canzone che non mi si toglie più dalla testa e che mi ha fatto apprezzare le doti (compositive e canore) della bassista Kim Deal, che poi fonderà i Breeders.
3 commenti:
...e con tempismo eccezionale, il tempo fa schifo. Mi sa che ho portato sfiga!!!
non posso assolutamente soprassedere a questo vizio di forma! (cit.)
;)
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