giovedì 16 giugno 2011

Queneau a fumetti: la storia di Zazie e della sua voglia di metró


Cosa succede quando una ragazzina viene affidata per qualche giorno allo zio (che vive a Parigi), mentre la madre è via col fidanzato, e l’unica cosa che le interessa fare una volta arrivata nella capitale è vedere il metró? Succede che il beneamato treno sotterraneo non lo riesce a vedere, ovvio. Queneau non ci vuol mica accontentare subito. Niente metró per Zazie: c’è sciopero. La ragazzina (non ancora adolescente, ma lì lì per diventarlo), neanche a dirlo, dà di matto e inizia a vagare per la città, sciorinando commenti indispettiti addosso a chiunque. Vista da qui, Zazie potrebbe sembrare una normalissima (e fastidiosissima) bambinetta pestifera (e per certi versi lo è davvero), ma una parte di lei è ribelle e rispondona* nell’accezione più eroica del caso: la fillette fissata col metró (si vedrà poi) è impavida e ostinatamente curiosa. L’ eroina letteraria perfetta, ecco.
Raymond Queneau scrive “Zazie nel metrò” (Zazie dans le metró) nel 1959. Il romanzo, diventato poi un classico della letteratura francese, viene portato sul grande schermo da Louis Malle praticamente subito dopo l’uscita, nel 1960. Più di recente, nel 2008, il fumettista Clément Oubrerie (premiato al Festival di Angouleme nel 2006, per l’opera Aya de Yopougon, realizzata con Marguerite Abouet) ne ha fatto un graphic novel, che in Italia è stato pubblicato quest’anno nella nuova traduzione di Viola Cagninelli (con tanto di brillante prefazione curata da Stefano Bartezzaghi).

Alta (per la sua età) e magrolina, coi capelli semi rossicci lunghi fin sotto le spalle, una frangetta sbarazzina e una maglietta da marinaio a righe, la Zazie del fumetto di Oubrerie è un personaggio che si fa subito guardare (sorprendendo coloro che già la conoscevano per il film di Malle: il suo aspetto nel film risultava infatti assai diverso). E parimenti si fa ascoltare: arrivata a Parigi col treno, accompagnata dalla madre, e scaricata allo zio Charles in pochi istanti, la ragazzina dà mostra di un linguaggio irriverente (maleducato quanto basta) nel tempo di due battute.
“Zio, prendiamo il metró?”
“No.”
“Come sarebbe no?”
“Non oggi. No. C’è sciopero. Il metró si è addormentato sotto terra perché gli addetti alle pinze perforatrici hanno smesso di lavorare.”
“Che fetenti!”

[Prendono il taxi; alla guida c’è un amico di zio Charles]
Zazie: “È ben brutta la sua carretta”
Zio: “Sali e non fare la snob”
Zazie: “Snob ‘ste palle.”

“‘Ste palle” (nel francese originale, Mon cul! ), esattamente. Se si pensa che la storica traduzione di Franco Fortini (per l’edizione italiana del romanzo -- Einaudi, 1960) riportava la medesima espressione nell’italiano “un c…” (censurato coi tre puntini di sospensione, nientemeno), va riconosciuto alla Cagninelli l’aver saputo restituire spessore e freschezza al linguaggio colorito della testarda protagonista. Assieme a quello di Zazie, per estensione tutto il linguaggio dell’opera è in qualche modo animato e bislacco. Basta osservare il gioco linguistico con cui si apre la storia, quel “Makiffastotanfo?” (Doukipudonktan? nell’originale , ovvero la trascrizione fonetica di D'où qu'ils puent donc tant? ); i dialoghi multi lingue coi turisti (“Male horas collocamus si non dicis istis puellae the reason why Charles went away”, “Caro mio fatti gli affari tuoi, she knows why and she bothers me quite a lot”) o come gli americani vengano definiti “amerlocchi”; i blue jeans diventino “bluginz”; Rembrandt “Rèmbran” o i gay “ormosessuali”. Quest’ultimo – curioso – epiteto viene utilizzato spesse volte, non solo da Zazie: la questione che par scottante chiarire è se lo zio ospite sia ormosessuale, visto che di notte esercita la professione di “ballerina di varietà”.

"E così si è ritrovato con il cranio spaccato"
All’insegna dell’assurdo e dello stravolgimento del senso, i dialoghi infilano una gag comica dietro l’altra, rendendo agile e piacevolmente scorrevole la lettura. Lettura che, tuttavia, rallenta precipitosamente in alcune parti del racconto: all’interno di questo calderone di lazzi trova, infatti, un posticino anche una parentesi sul passato della protagonista. Nel bel mezzo del dialogo con un satiro (un maniaco che si spaccia venditore ambulante, incontrato in città; un incrocio tra uno dei fratelli Blues e un ebreo ortodosso), la ragazzina racconta che il padre è morto. Beh, l’ha ucciso sua madre, con un colpo d’accetta in testa. (A voler essere sinceri non è la narrazione a rallentare; è il cervello del lettore a farlo, perché non si aspetta certo di sentire certe rivelazioni da chronique noir, nel bel mezzo di un innocente pranzo al bistrò. La narrazione, al contrario, procede vivace e incontrastata, tanto che scorrendo con gli occhi le immagini, dobbiamo sforzarci di non indugiare troppo su questa mesta parentesi, e seguire il ritmo). Non va dimenticato la versione di Clément Oubrerie è totalmente illustrata e, come ha osservato puntualmente Bartezzaghi nella prefazione, “occorreva (…) che qualcuno facesse di Zazie un vero e proprio fumetto perché la sperimentazione letteraria di Queneau rendesse di nuovo disponibile a tutti la sua acuminata allegria”. La fillette protagonista pareva creata fin dall’inizio con intenti fumettistici: “parla per esclamazioni e brevi frasette sprezzanti, ognuna delle quali sta agevolmente in una nuvoletta”, annota ancora l’autore della prefazione.

Seguiamo allora questo personaggio letterario (ormai cinquantaduenne) in una nuova versione disegnata e a colori, mentre fugge al controllo dello zio e decide di esplorare la città per conto suo, “comprarsi” dei bluginz, innervosire un tassista single e complottare (controvoglia) con una zitella alto borghese, non risparmiando a nessuno (né ai turisti, né agli automobilisti, né ai dirimpettai; né allo zio, alle volte) strali di noia e irritazione, assieme a giovanili perle di saggezza (venate di leggero sadismo).

Io voglio andare a scuola fino a sessantacinque anni… voglio fare la maestra. Per tormentare i mocciosi. Quelli che avranno la mia età tra vent’anni. Tra cento anni. Per avere sempre dei ragazzini a cui rompere le palle. Gli infilzerò i compassi nel didietro, gli scorticherò il sedere. Sarò una stronza, gli farò leccare il parquet e mangiare il cancellino della lavagna.
“Secondo i giornali l’istruzione pubblica non si sta orientando affatto in questo senso, lo sai?”
Allora farò l’astronauta. Farò l’astronauta per andare a rompere le palle ai marziani.

Si ferma poco più di 48 ore nella Ville Lumière, ma è comunque in grado di travolgere (e sconvolgere) tutti i parigini che riesce a incontrare. E di addormentarsi sul più bello.
Consigliato caldamente a coloro che non amano il politically correct, vanno in solluchero per le orazioni poetico-filosofiche (lo zio di Zazie è un maestro in questo campo) e sbrodolano di fronte alle illustrazioni dal tratto sporco.

*mi permetto di citare mia mamma, che quand’ero piccola soleva deliziarmi con rimproveri camuffati da neologismi accrescitivi, simili a questo.

2 commenti:

scimmia gialla ha detto...

Ne avevo sentito parlare e mi era venuta voglia di leggerlo e ora tu scrivi questo post........... me lo presti? :] ghghgh (quando uscirò dal tunnel tesi)

corsageacarreaux ha detto...

certo, quando vuoi. comunque penso tu riesca tranquillamente a leggerlo anche sotto tesi (sono un centinaio di pagine, alla fine. magari ti aiutano a distrarti un po'); ricordamelo quando ci vediamo!

 
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