giovedì 21 aprile 2011

Ho fatto le elementari del libro "Cuore", IV puntata

Dove la protagonista fa di tutto per ricevere apprezzamento e apprende i primi rudimenti di marketing e auto promozione.

Come già accennato nelle puntate precedenti, la mia maestra non mi gratificava particolarmente: per lei ero una piccola peste ribelle con poca voglia di studiare, e appiccicata quest'etichetta in prima elementare non me la sono tolta di dosso fino alla fine. Nessuna possibilità di redenzione per una Maddalena di terza elementare con un desiderio irrefrenabile di un "brava".
Cercavo di comportarmi bene in classe, di svolgere i compiti, di starmene seduta "a braccia conserte" e attenta alla lezione, ma non cambiava nulla. I miei temi non erano apprezzati, il mio modo di "giocare" con la matematica ritenuto infantile (delle mie capacità manuali abbiamo già parlato) e i miei voli pindarici di fantasia men che meno. Questo mi portava a candidarmi per missioni suicide e compiti ingrati, come quando ho fatto la "dama di compagnia" durante la lunga ricreazione post mensa a due compagne ingessate: un compito orrido quando fuori brilla il sole e tu vorresti solo andare a correre nel cortile mentre ti tocca stare seduta in una stanzetta. Ovviamente non ci si poteva turnare in questo ruolo, eh no! Anche in questo caso il verdetto era definitivo: dama di compagnia fino ad avvenuta guarigione. Accettato, davvero a malincuore, e senza fiatare, ma non è valso a conquistarmi la stima dell'esigente maestra.
Il fondo però ricordo di averlo toccato durante le vacanze di Natale della quarta elementare.
Prima del tanto sospirato ultimo giorno dovevamo infatti scegliere dalla piccola biblioteca di classe un libro da leggere durante la pausa vacanziera. I libri a disposizione non erano quelli che ad oggi si trovano nello scaffale di una quarta elementare: niente "Battello a vapore", niente "Geronimo Stilton", niente libri con fate, streghe e folletti. Per lo più si trattava di vite di sante, libri edificanti e di formazione. Tutti con una triste copertina e quasi nessuna figura. Uno spasso. La cosa ancor più spassosa era che si veniva implicitamente valutati a partire dalla selezione del libro: chi prendeva un libro troppo corto o uno con un titolo "disimpegnato", sempre che così lo si potesse definire, veniva da subito additato come poco volonteroso. Fu così che, preda del sacro fuoco del "voglio essere riconosciuta", presi in prestito "Le mie prigioni". Ricordo con dolore e sofferenza le settimane di lettura. Mi sforzavo di capire, di seguire la vicenda, di appassionarmi, ma nulla. Il libro era triste, deprimente e in un italiano poco comprensibile. Ricordo che i miei mi guardavano straniti e i parenti, dai quali andavo per le festività, mi osservavano, con il libro in mano sulla poltrona del salotto, con aria dubbiosa. Ma una bambina di nove anni a Natale non dovrebbe leggere qualcosa di più distensivo? Evidentemente no, se la sua spinta al pubblico riconoscimento è tanto alta.
Sforzo mal ripagato. Non ricordo nessun trattamento particolare, nessuna differenza sostanziale fra me, che avevo letto il tomo mefitico, e chi si era dedicato ad una scarna sintesi della vita di Maria Goretti.
Ricordo però una grande soddisfazione scolastica di quegli anni: un bel voto ad un tema svolto a casa, menzionato addirittura in classe.
Si trattava di descrivere "Una bella giornata trascorsa con la famiglia". I temi fatti in precedenza erano stati tutti frutto di un'onesta ricostruzione dei fatti oppure di una fantasia non mediata dal gretto calcolo di cosa potesse o meno incontrare i gusti della maestra, ed erano stati un mediocre fiasco. Quella volta decisi di inventare sulla scorta di quella che, a mio sentore, doveva essere una bella giornata per il mio pubblico monocolore. Descrizione di una domenica in campagna con i miei, il nonno, gli animali, mio padre che torna da caccia (dato vero) e prepara gioisamente con mia mamma la lepre appena catturata (dato fasullo). Io che gioco gaiamente con mio fratello (dato fasullo, ci si dava un treno di mazzate a quell'epoca) e poi aiuto i miei genitori in cucina (dato fasullissimo, che più fasullo non si può). Cornice bucolica, sole, brezza e risate. Un successo di pubblico e critica, avevo fatto breccia nel cuore della maestra e a soli otto anni scoperto le regole base del marketing e dell'auto promozione. Forse alla fine una cosa utile, da tanta frustrazione, l'ho imparata: sviluppare l'empatia e usarla per sopravvivere in questo freddo, personalista ed autoreferenziale mondo.

1 commento:

Luciana Cossutta ha detto...

Ho fatto le elementari a Trieste con maestra veneta-democristiana-cattolica-di-ferro negli anni '60. Era molto più umana della tua, la tua esperienza mi fa paura.

 
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