martedì 12 luglio 2011

L'insostenibile sessismo della pubblicità del Viakal: un'intervista ad Annamaria Arlotta

Annamaria Arlotta, fondatrice del gruppo "La pubblicità sessita offende tutti"
"La pubblicità sessita offende tutti" è il nome di un gruppo nato su Facebook per mano di Annamaria Arlotta. Il suddetto gruppo, che al momento conta quasi cinquecento iscritti, è dedicato alla riflessione sull'immaginario del genere e, in particolar modo, al modo in cui esso viene presentato - spesso univocamente - nelle pubblicità. Alla riflessione sulle pagine del gruppo segue l'azione: gli iscritti si impegnano in una campagna di mailbombing al mese.

Ci siamo fatte spiegare un po' meglio in che cosa consistono le attività del gruppo e i suoi retroscena dalla stessa Annamaria Arlotta.

SR: Raccontami in poche parole chi sei, di cosa ti occupi, qual è stata la tua formazione.
A: Di famiglia italo-franco-tedesca, dopo la laurea in Storia dell’Arte conseguita a Roma ho sposato un professore americano e vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove insegnavo alle elementari. Tornata in Italia, ho lavorato saltuariamente con le traduzioni. Dal 2009 sono attivista politica con il Popolo viola e il movimento MoveOn Italia, che al momento si batte per allargare il controllo della Rai agli abbonati. Partecipo a presidi e sit-in in occasione di scadenze significative in Parlamento, a dibattiti e a manifestazioni. Tra i miei interessi c’é la poesia contemporanea: trovo che nelle poesie moderne, per esempio in quelle del giapponese Kikuo Takano, della polacca Wyslawa Szymborska e dello spagnolo Pedro Salinas, l’utilizzo di un linguaggio solo apparentemente vicino a quello del nostro parlato non tolga nulla alla profondità di pensiero e alla bellezza proprie della poesia del passato. Il mio hobby è il nuoto, che ho coltivato prendendo lezioni e praticandolo regolarmente.

SR: Molte persone vedono nei social network uno strumento volto a soddisfare la voglia di autoreferenzialità dei singoli utenti, sottolineandone l'inutilità e talvolta la dannosità. Il tuo gruppo su Facebook sembra invece orientato in tutt'altra direzione. Potresti spiegarmi di cosa vi occupate e farmi qualche esempio di campagna di mailbombing che avete portato avanti?
A: Il nostro gruppo si aggiunge alle altre forze che combattono il fenomeno diseducativo della pubblicità sessista, e al tempo stesso si pone come catalizzatore di quelle forze. Per pubblicità sessista si intende quella che della donna mostra prevalentemente l’aspetto di seduttrice, a volte affiancato da quello di casalinga-madre. Il divario tra questa rappresentazione e il mondo reale che presenta mille tipologie di donne è enorme e noi pensiamo che la riduzione della figura femminile a questi due ruoli favorisca nell’immaginario collettivo una distorsione. Ne “Il libro nero della pubblicità” Adriano Zanacchi afferma che la pubblicità, intrusiva e onnipresente, è “tale da esercitare spesso effetti “più o meno profondi, anche sul…modo di pensare, di concepire la realtà”. Questo vale anche per i bambini e i ragazzi, ai quali è presentata un’immagine di donna che, secondo Zanacchi “si offre e viene offerta senza scrupoli: sempre disponibile, ancillare, subordinata, passiva, spesso provocante se non spudorata.” Il nostro gruppo si occupa di uno specifico fenomeno all’interno della grande questione femminile; sostituisce alla vecchia contrapposizione di genere di stampo sessantottino un’azione comune tesa all’accrescimento del reciproco rispetto; è un grande contenitore di discussioni, link a iniziative ed articoli per tutti coloro che si interessano della questione.
Tra le forze che si battono contro la pubblicità sessista, decine di Comuni hanno aderito alla moratoria proposta dall’Udi per il bando della stessa dai cartelloni di competenza municipale. Il fotografo Ico Gasparri ha testimoniato con un’ampia collezione di immagini negli ultimi venti anni i peggiori casi nei cartelloni. L’On. Antonio Palagiano ha presentato nel 2009 un’interrogazione in merito a Mara Carfagna. L’Unità porta avanti la campagna “Non chiederci la parola” con una serie di filmati dove si analizza un determinato spot svelandone il messaggio subliminale. Un protocollo per la corretta rappresentazione della figura femminile è stato proposto dall’Associazione Pari o Dispare e sottoscritto da importanti ditte o enti come Vodafone e Unicredit.
In Italia il monitoraggio della pubblicità è affidato all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Il codice dello IAP stabilisce, tra l’altro, che essa deve: “rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni”. Partendo da questo principio individuiamo uno spot al mese e mandiamo una serie di mail collettive allo IAP affermando che esso contraddice quella norma.
Lo IAP, come indica il nome, è una emanazione delle imprese stesse che si sono volute dare un codice. Non trattandosi di ente indipendente, però, è restio a censurare gli spot. Il vantaggio di indirizzare le proteste a questo istituto è che così facendo ci rivolgiamo alle imprese, cioè a chi pianifica e sdogana le réclame. Il nostro intento non è la soppressione di un singolo spot particolarmente denigrante, perché ciò equivarrebbe ad accettare implicitamente tutti gli altri, ma quello di fare continua pressione perché l’intero fenomeno sia ripensato alla luce di una nuova sensibilità emergente.
La procedura per il mail bombing è rapidissima, occorre meno di un minuto.
Abbiamo iniziato la campagna con lo Yogurt Mini Muller, e in quell’occasione ho postato quattro esempi di campagne pubblicitarie della stessa ditta all’estero, nessuno dei quali sessista.


(la versione norvegese)

(la versione danese)

(la versione italiana)

Siamo talmente assuefatti al binomio prodotto-donna seducente che non ci rendiamo conto che in Italia la situazione è di gran lunga peggiore che all’estero. Tra gli altri spot per i quali abbiamo mandato mail di protesta uno riguarda invece l’altro stereotipo, quello della casalinga. In una famiglia composta da un fratello e due sorelle, all’annuncio dell’arrivo in visita della madre le due ragazze si precipitano a pulire il lavandino, dirette oltretutto dal fratello. Lo spot è della Viakal.

SR: Che impatto ha avuto l'accesso ai social network nella tua vita quotidiana? Prima di Facebook ti consideravi un'attivista? Svolgevi qualche tipo di attività assimilabile a quella che ti impegna ora con il tuo gruppo online?
A: L’impatto di Facebook è stato determinante. In passato avevo aperto un dibattito sulla pubblicità sessista in un sito di traduttori, ma nonostante la grande partecipazione non avrei saputo come diffondere in maniera efficiente il messaggio. I social network presentano tuttavia un limite, che consiste nella relativa responsabilizzazione dei partecipanti. L’accesso a Facebook è di per sé discontinuo e risponde ad esigenze individuali. Mentre in un gruppo tradizionale ci si aspetta la presenza e il contributo di un certo numero di persone a scadenze fisse, su FB la partecipazione è fluttuante, e solo se si raggiunge un numero consistente di iscritti è possibile portare avanti un’iniziativa in maniera sistematica.

SR: Il tuo gruppo si occupa di pubblicità e di decostruzione degli stereotipi di genere. Quando hai cominciato ad interrogarti e a problematizzare questi temi? Potresti raccontarmi cos'hai provato la prima volta che hai realizzato quale fosse la portata simbolica di certe pubblicità?
A: Nel 2000, tornata dall’Inghilterra, osservando i cartelloni pubblicitari con la loro proliferazione di immagini di donne sessualmente compiacenti, mi chiesi se ciò denotasse una liberalizzazione dei costumi che nell’Inghilterra puritana era repressa. Conclusi invece che si trattava di una riduzione e di una banalizzazione della figura femminile, la cui ricchezza e complessità venivano sacrificate usando uno stereotipo associato al concetto di compiacimento erotico dell’uomo. Questa operazione è svilente nei confronti di tutti, perché riduce relazioni, affetti e legami tra i sessi, complessi ed arricchenti, a semplice desiderio di conquista per soddisfare un impulso basilare, desiderio poi trasferito sul prodotto. L’uomo viene ridotto a guardone sbavante, la donna che osserva tale pubblicità viene sollecitata ad immedesimarsi con la modella, il cui “valore” consiste negli attributi fisici e nell’atteggiamento di compiacenza sessuale. La decisione di fondare il gruppo è nata dopo aver visto uno spot della Tim in televisione che mostrava una donna minuscola racchiusa nel palmo di una mano di un uomo.

SR: La redazione di Soft Revolution è composta per lo più da studentesse delle scuole superiori e dell'università che condividono il tuo interesse per la rappresentazione del genere nei mass media e nei prodotti culturali che consumiamo ogni giorno. Credo che uno dei motivi che ci ha portate a fondare questa webzine sia stato il constatare che molti dei nostri coetanei e coetanee non hanno ricevuto una buona "educazione" ai mass media, nel senso che faticano a decostruirli o non ci pensano proprio. Secondo te, oltre alle attività di mailbombing, che vanno ad intervenire su pubblicità che sfortunatamente sono già finite in tv o per strada, come ci si potrebbe muovere per fornire ai ragazzi degli adeguati strumenti per comprendere a fondo le pubblicità e i prodotti culturali gendered?
A: Temo che fino a quando sarà in carica l’attuale governo ci siano poche speranze di modificare la situazione a livello istituzionale. Al momento le uniche azioni possibili sono quelle di volontariato, come gli interventi nelle scuole private che acconsentano a degli incontri sulla questione femminile, e la diffusione su internet di materiale, quale il documentario di Lorella Zanardo “Il corpo delle donne” , la galleria di pubblicità lette e spiegate di “Non chiederci a parola” portata avanti da L’Unità, i tanti articoli che girano in rete e naturalmente… l’iniziativa del nostro gruppo!

SR: Potresti farmi un esempio di una pubblicità che tu hai giudicato terribile e una che invece ti è parsa ben scritta da un punto di vista "simbolico"?
A: La categoria peggiore unisce doppi sensi all’esaltazione di parti del corpo femminile. Un esempio è la réclame della TTTLines il cui slogan che recita “Abbiamo le poppe più famose d’Italia” mentre mostra un improbabile gruppo di donne vestite in maniera provocante viste da dietro che si avviano verso la nave della compagnia.
Innovativo, invece, uno spot della Telecom Impresasemplice che presenta donne professioniste.
Assolutamente delizioso e creativo nel vero senso della parola uno spot in lingua spagnola che mostra un papà e una mamma in un rapporto paritario nella cura del bambino.

SR: Quali sono i progetti per il futuro del tuo gruppo?
A: Considero fondamentale far accrescere di numero il gruppo per far aumentare in proporzione il numero di mail della campagna a scadenza mensile che portiamo avanti. Ci impegniamo per far diventare il gruppo un punto di riferimento importante per chi cerca informazioni e dibattiti in merito all’argomento. Diversi consiglieri comunali, uomini e donne, e alcuni noti giornalisti si sono iscritti, e sulla pagina del gruppo si trovano i link ad ogni loro iniziativa riguardante la rappresentazione della donna nei media e in particolare in pubblicità. L’obiettivo a medio termine è che la stampa menzioni la nostra iniziativa, contribuendo così a diffonderla. Trovo importante che il mail bombing si protragga nel tempo perché il messaggio che intendiamo lanciare allo IAP e perciò alle imprese è ben preciso: la pubblicità sessista è un fenomeno svilente e offensivo per tutti e deve essere sostituita da una che promuova l’immagine di parità tra i sessi.

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